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Tuesday, December 14, 2010

Lolita e il totalitarismo: "Leggere Lolita a Teheran"

Questo è il testo di un intervento che ho fatto per il ciclo di conferenze "Il Lettore in Gioco", autogestito da alcuni dottorandi di Ca' Foscari. Enjoy! :-)

Lolita e il totalitarismo: “Leggere Lolita a Teheran”

“Leggere Lolita a Teheran” è un libro di memorie scritto da un’ex professoressa iraniana di letteratura inglese, Azar Nafisi. Il libro racconta come nel 1995, dopo essere stata espulsa dall’università di Teheran per essersi rifiutata di fare lezione con il velo, l’ex professoressa decida di tenere dei seminari privati di letteratura con sette ex-allieve, tenuti nella sua grande casa di Teheran. La situazione ricorda, e lo afferma anche l’autrice all’inizio del libro, il club di “Gli Anni Fulgenti di Miss Brodie” di Muriel Spark, dove appunto una professoressa riunisce un drappello di alunne preferite attorno a sè.
I testi discussi sono classici della letteratura inglese e americana proibiti dalla Repubblica Islamica: “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, “Daisy Miller” di Henry James, i romanzi di Jane Austen e, naturalmente, “Lolita” di Vladimir Nabokov. In un paese in cui si tenta di eliminare la parola “vino” da un racconto di Hemingway oppure si vieta l’insegnamento di Emily Brontë perché sembra condonare l’adulterio, la letteratura serve a creare spazi in cui conservare la propria identità in un regime totalitario che vorrebbe abolire ogni individualismo. La classe per queste donne è uno spazio tutto per sé, una specie di versione comunitaria della stanza di cui parla Virginia Woolf. Che cosa sperano di trovare nella letteratura le persone, e in particolare le donne, che vivono in un regime totalitario? Azar Nafisi dice che sperano di trovare un legame, una connessione tra lo spazio aperto dei romanzi e quello chiuso, ristretto della loro vita. Si tratta di un libro profondamente ancorato all’esperienza di essere donna in un paese come l’Iran, dove le donne sono costrette a coprirsi i capelli, non possono mettere lo smalto né indossare vestiti troppo colorati (anche se non c’è nessuna legge che lo vieti) e sono rigidamente controllate in ogni loro movimento.
Non si tratta di un libro dal particolare pregio letterario, né le riflessioni sulla letteratura inglese e americana sono particolarmente complesse. Non si tratta di un libro di critica letteraria (mi pare non vengano mai citati nomi di critici o testi canonici di critica letteraria), ma un libro di memorie raccontate attraverso i libri. Si tratta di un approccio amatoriale alla letteratura. Per Azar Nafisi e le sue allieve i personaggi dei romanzi di cui discutono spuntano fuori dalle loro pagine per diventare quasi reali (verso la fine una delle studentesse rivela che il soprannome che lei ha dato alla propria figlia è “Daisy”, mutuato da Henry James).
All’inizio del libro, l’autrice spiega che il libro che descrive meglio le loro vite nella repubblica islamica non è “1984” di George Orwell né, appunto, “Gli Anni Fulgenti di Miss Brodie”, ma “Lolita” di Nabokov. Per Azar Nafisi e le sue studentesse, infatti, la storia di Humbert Humbert, il patrigno-amante che tiene prigioniera la sua “ninfetta” succhiandole la linfa vitale e privandola di tutte le esperienze che caratterizzano l’adolescenza diventa una metafora della loro vita in Iran e delle privazioni delle donne iraniane. Dall’obbligo di portare il velo in pubblico al divieto di mangiare una mela in maniera troppo seducente, le donne in Iran vivono la stessa situazione di Lolita che, osservata come un falco dal gelosissimo “patrigno”, non ha alcuna libertà. Lolita non può parlare con gli altri ragazzi e non può fare nulla senza che Humbert acconsenta. La cartina tornasole di ciò si trova nella postfazone di “Lolita”, in cui l’autore spiega come è nata l’idea di scrivere il romanzo. Egli scrive di aver letto sul giornale una notizia riguardante una scimmia che, dopo mesi di continue insistenze da parte di uno scienziato, aveva prodotto il primo disegno fatto da un animale ed aveva disegnato le sbarre della sua gabbia. L’idea di “Lolita” nasce in realtà da un’idea per un romanzo espressa da un personaggio di uno dei suoi romanzi scritti in russo, Dar (Il Dono), del 1938. Probabilmente Nabokov ha creato un Nabokov fittizio che scrive la prefazione. Con Nabokov bisogna sempre essere sospettosi, scrive Carl R. Proffer, autore del libro Keys to Lolita, perché il lettore ingenuo finisce infilzato contro il muro come le farfalle di Nabokov (che era un collezionista di farfalle). Egli con la prefazione ci manda quindi un ulteriore indizio, non sulla genesi di “Lolita”, ma sul modo in cui dobbiamo interpretare la storia: Humbert tiene prigioniera Lolita, la violenta, la priva della sua libertà di adolescente. Lolita può essere quindi letto come l’atto solipsistico e violento di confiscare la vita di un’altra persona e modellarla secondo i propri sogni e desideri “deviati” (Nafisi usa l’espressione “distorted dreams”). Ricordiamo come Lolita sia indifferente ai tentativi di “acculturazione” di Humbert, ma come si entusiasmi per la rappresentazione teatrale del suo amante-liberatore Quilty. Come Lolita, le donne iraniane cercano di creare piccole sacche di libertà e di sfruttare ogni occasione per creare piccoli atti d’insubordinazione contro colui (o coloro) che le incarcerano.
La lettura totalitaria di “Lolita” non è poi così balzana. Martin Amis in un saggio sullo stalinismo intitolato “Koba il terribile” sostiene che “Lolita” sia un’elaborata metafora per quel totalitarismo che ha distrutto la Russia dell’infanzia dell’autore, e lo fa nonostante Nabokov dica nella postfazione al romanzo che detesta i simboli e le allegorie. Tuttavia, scrive Nabokov nelle sue “Lezioni di Letteratura”: “Quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro” (p.31).
Nabokov, ricorda Martin Amis in “Koba Il Terribile”, “era appena scappato dalla Francia, sul punto di cadere in mano ai tedeschi, insieme alla moglie ebrea Véra e al figlio Dmitri. E poco prima era fuggito dalla Berlino hitleriana e di Weimar […]. E ancora prima era scappato dalla Russia rivoluzionaria. Forse perché intimoriti dal disprezzo nutrito da Nabokov per l’arte ‘di idee’, tendiamo a sottovalutare l’aspetto politico della sua narrativa. Scrisse due romanzi sugli stati totalitari (I Bastardi e Invito a una decapitazione); erano situazioni immaginarie, ma le dittature di cui Nabokov aveva fatto esperienza erano reali: quella di Lenin e quella di Hitler. E, come Trockij ricordava con compiacimento, Vladimir Nabokov (padre) era stato assassinato a Berlino nel 1922, quando Vladimir Nabokov (figlio: in Parla, Ricordo definisce gli aggressori “due fascisti russi”) stava per compiere ventitre anni; quella serata – <> - fu il momento cruciale della sua vita. Dunque, un intento politico in Nabokov esiste, eccome. Ed è anche per questo che Nabokov, in tutta la sua narrativa, scrive con incomparabile acume di illusione e coercizione, crudeltà e menzogna. Anche Lolita, soprattutto Lolita, è uno studio sulla tirannia”.
Come dice Azar Nafisi nel suo libro, “Lolita” non è una critica della repubblica islamica ma va contro ogni prospettiva totalitaria. Teheran, nel caso di Azar Nafisi, ha dato nuova forma al romanzo di Nabokov: in Iran e per quelle donne questo è quello che significa “Lolita”, a prescindere dall’apparente solipsismo di Nabokov, che rifiuta, in barba a Barthes, diverse interpretazioni del libro (quella psicologica, quella romantica o quella anti-americana). Un’interpretazione azzardata con Nabokov sembra un peccato mortale; Proffer ha detto che azzardare un’interpretazione di Lolita “sarebbe più riprovevole che stuprare Mabel Glave”. Mabel Glave è una delle compagne di classe di Lolita menzionate nel libro, ma è in realtà un gioco di parole, un’allusione letteraria a qualcos’altro, come tutti i nomi nel romanzo: Mabel richiama ovviamente il francese “ma belle”, mentre “glaive”è una parola arcaica che indica un “premio”. Mabel Glave significherebbe quindi “il mio bel premio”, quello che Lolita rappresenta per Humbert e quello che probabilmente “Lolita”, il libro, rappresenta per Nabokov. Stuprare “Ma belle Lolita” è quindi un atto deprecabile.
C’è un momento in “Lolita” in cui Humbert vede una farfalla, o forse è una falena, nell’ufficio del campo estivo dove va a prendere Lolita ma non riesce a distinguerle, non gli importa. Questo è un punto importante, perché è eco di un’incapacità ben diversa, quella morale di distinguere tra una bambina, un’adolescente e una donna. Lolita che piange la notte – una scena importantissima a mio avviso ricorda questa farfalla infilzata al muro con uno spillo, incapace di scappare. Quelli che sostengono che Lolita parli della seduzione di una giovane ninfetta su un impotente professore di letteratura francese, si dimenticano quella scena, forse hanno letto “Lolita” senza leggerlo veramente.
Sempre nelle “Lezioni di Letteratura”, Nabokov scrive questo: “Un buon lettore, un grande lettore, un lettore attivo e creativo è un ‘rilettore’. E vi dirò perché. Quando leggiamo un libro per la prima volta, il processo stesso di spostare faticosamente gli occhi da sinistra a destra, riga dopo riga, pagina dopo pagina, questo complicato lavoro fisico sul libro, il processo stesso di imparare in termini di spazio e di tempo di che cosa si tratti, si frappone tra noi e la valutazione artistica. Quando guardiamo un quadro, non dobbiamo spostare gli occhi in una maniera particolare, anche se il quadro, come un libro contiene elementi da approfondire e sviluppare. L’elemento tempo non ha molto peso in un primo contatto con un quadro. Nel leggere un libro, dobbiamo invece avere il tempo di farne la conoscenza. Non abbiamo un organo fisico (come è l’occhio per il quadro) che recepisca il tutto e possa poi goderne i particolari. Ma a una seconda o a una terza o a una quarta lettura, ci comportiamo, in un certo senso, di fronte a un libro come di fronte a un quadro” (p.33).
In sostanza a mio parere “Lolita” è sì un’esperienza estetica, dove bisogna gustarsi i giochi di parole, gli enigmi e gli indizi disseminati da Nabokov nel corso del romanzo, ma anche – ad una seconda lettura, usando le indicazioni dell’autore – una metafora del potere distruttivo del totalitarismo (come non ricordare come finisce il protagonista del romanzo?). Quello che fa Azar Nafisi nel suo libro è quindi non leggere Lolita a Teheran, ma ri-leggere Lolita a Teheran, perché, a mio parere, fa esattamente l’operazione di guardare il libro come si fa con un quadro, dopo averne studiato i particolari, si allontana e riesce ad ottenerne una visione diversa, più generale.
In uno degli scorsi incontri è stata sollevata la questione del “implied reader”, il lettore implicito. Questo viene prefigurato prima dall’autore, ma poi il testo ha una sua imprevedibilità: può venir letto da persone a cui l’autore non aveva pensato, può venir interpretato, modificato, finanche mal-interpretato dai suoi lettori. E’ quello che è successo a “Lolita” nel caso che stiamo prendendo in questione. Di certo Nabokov non si sarebbe aspettato che il libro venisse letto in Iran (d’altronde, con tutte quelle citazioni letterarie, il “lettore ideale” per Nabokov è un erudito europeo che parli correntemente almeno inglese e francese e abbia una conoscenza molto dettagliata della letteratura occidentale).

Monday, September 20, 2010

Azar Nafisi @Festivaletteratura – 9 settembre 2010

Azar Nafisi è l’autrice di “Leggere Lolita a Teheran” (2003), un libro di memorie su come un’insegnante iraniana di letteratura inglese, dopo aver lasciato l’università per essersi rifiutata di fare lezione con il velo, abbia deciso di tenere una specie di club con le sue studentesse più affezionate, come una specie di Miss Jean Brodie, e discutere dei grandi della letteratura inglese e americana, da Jane Austen a Nabokov, da Fitzgerald ad Henry James. Recentemente ha scritto un secondo libro di memorie, “Le cose che non ho detto”, ed è proprio questo che ha presentato in questo incontro. Il libro nasce dall’esigenza di parlare, anzi di scrivere, delle cose che non ha potuto dire nel periodo in cui viveva in Iran (vive in esilio negli Stati Uniti dal 1997). Azar Nafisi ci fa subito l’esempio del primo libro di Nabokov che ha letto, “Ada”, regalatole dal suo primo amore. Sul frontespizio del libro c’era una dedica d’amore che diceva “Alla mia Ada, con amore, Ted”. Innamorarsi a Teheran è stata una delle cose di cui non ha mai potuto parlare, come guardare un film dei fratelli Marx, oppure appunto leggere “Lolita”. La dittatura, secondo Azar Nafisi, tiene i cuori in ostaggio e i suoi orrori mettono in moto un’operazione perversa mediante la quale ti senti in colpa per quello che non hai fatto, nel suo caso, per esempio, non essere stata presente al momento della morte dei genitori.
Il libro, da quello che traspare nell’incontro, è anche un tributo al padre dell’autrice, che è stato sindaco di Teheran all’epoca dello scià, e alla madre, una delle prime a diventare membro del parlamento in Iran. La famiglia di Azar Nafisi è quindi una famiglia di intellettuali, un po’ come quella della scrittrice pakistana Kamila Shamsie, altra autrice dell’area mediorientale presente al festival. Azar Nafisi è una donna spigliata e appassionata, lontanissima dallo stereotipo di donna iraniana sottomessa e ossessionata dalla religione che ci giunge dai media. E’ prova che esiste anche un Iran diverso, moderato, e Azar Nafisi ce lo fa capire dicendoci questo: “La cultura dell’Iran non è solo Ahmadinejad, Sakineh o il burqa, è anche la sua gente, i suoi poeti meravigliosi come Firusi, così come la cultura americana non è solamente Mark Twain e Fitzgerald, ma anche lo schiavismo”.
Lo spazio per le domande permette al pubblico di esprimere tutto l’amore e l’entusiasmo per il libro di Azar Nafisi e in particolare per il processo a Gatsby messo in pratica dall’autrice e dai suoi studenti, una trovata effettivamente geniale. L’Iran e il Medio Oriente in genere sono stati tra l’altro un argomento molto dibattuto in molti eventi del festival. Per esempio, sotto il tendone in Piazza Erbe, c’era uno spazio dedicato al confronto e al dibattito sul web da parte dei giovani iraniani. Pare infatti che il persiano sia la terza lingua più usata su internet, o perlomeno sui blog, dopo l’inglese e il cinese.Viene da sé dire che mi è venuta una gran voglia di ributtarmi tra le meravigliose pagine di “Leggere Lolita a Teheran” ad affrontare le interpretazioni di alcuni grandi libri da un punto di vista iraniano, oppure prendere in mano “Le cose che non ho detto” e capire qualcosa di più su un paese che non ci ha dato solo i tappeti, ma anche grandi poeti e pensatori, tutta gente che le becere politiche di oggi vogliono cancellare. Perché la dittatura, ci fa capire Azar Nafisi, crea una cultura dell’oblio che noi dobbiamo assolutamente cercare di ostacolare, preservando la memoria.

Wednesday, July 29, 2009

19. "Leggere Lolita a Teheran" by Azar Nafisi

Anno di prima pubblicazione: 2003
Genere: memorie, saggistica
Country: Iran

Sull’autrice: Azar Nafisi è nata nel 1955 in Iran. Dopo essere stata espulsa dall’Università di Teheran per essersi rifiutata di portare il velo, ha lasciato il suo paese per trasferirsi negli Stati Uniti, dove tra l’altro si era laureata. Ora vive a Washington D.C. con il marito e i figli ed insegna alla John Hopkins University. Ha scritto per il New York Times, il Washington Post, il Wall Street Journal e numerose alter testate giornalistiche. Ha appena pubblicato il suo secondo libro di memorie, Things I've Been Silent About.

La recensione di questo libro si trova nella rivista on-line Paper Street (qui il link) con cui ora collaboro.


Iran e Libri

Un paio di settimane fa, sull'inserto TuttoLibri de La Stampa, c'erano ben due pagine dedicate all'Iran e ai romanzi in uscita sul paese mediorientale. Tra i titoli proposti:
Quest'ultimo si trova in praticamente tutte le librerie ed ha una copertina a dir poco suggestiva (e cliccateci su quei link!), ma tra la Babele di libri di narrativa sui paesi mediorientali ho scelto di comprare La collezionista di Storie di Randa Jarrar, che sto leggendo ora.
Tra gli altri libri sull'Iran di recente uscita, il fumetto Persepolis di Marjane Satrapi, da cui l'omonimo film.

Saturday, February 21, 2009

IRAN: GIOCO PER PC, UCCIDI SALMAN RUSHDIE

Da Ansa. it:

TEHERAN - Uccidi l'apostata: è questa la finalità di un nuovo gioco per computer che sarà prodotto in Iran sulla figura di Salman Rushdie. Lo hanno reso noto gli ideatori, nel ventesimo anniversario della 'fatwa' con cui il 14 febbraio 1989 l'ayatollah Ruhollah Khomeini, allora guida della Repubblica islamica, condannò a morte per apostasia l'autore dei 'Versi satanici'. L'iniziativa, scrive l'agenzia Fars, è opera dell'Unione islamica degli studenti medi. Il suo segretario generale, Mohammad-Taqi Fakhrian, ha detto che la produzione del nuovo gioco è stata decisa dopo "il grande successo" ottenuto da un altro uscito negli anni scorsi che aveva come tema la lotta dell'Iran per sviluppare il suo programma nucleare contro vari complotti di Israele e degli Usa. "La vita stressante e l'esecuzione della fatwa contro Salman Rushdie" sarà il titolo del nuovo gioco, ha precisato Fakhrian, aggiungendo che esso "riguarderà anche la vita di un combattente libanese rimasto ucciso nell'esplosione di una bomba che stava fabbricando per uccidere Rushdie". L' 11 febbraio scorso il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hassan Qashqavi, ha detto che la 'fatwa' contro lo scrittore anglo-indiano "è ancora valida", mentre ieri i leader della preghiera del venerdì nelle moschee iraniane hanno ribadito che la sentenza va eseguita.

Memole dice: Non ho parole! Comunque, per la cronaca, io ho letto il libro (I versi satanici) e, a parte che non ci ho capito un granché perché le mie conoscenze sulla religione islamica non sono eccellenti, non ho visto tutto questo scandalo. E' narrativa dopo tutto, mica un'indagine storica sulla persona di Maometto! Gli iraniani e gli altri sostenitori della fatwa secondo me dovrebbero imparare a prendere Rushdie meno seriamente...
PS: Certo che quest'uomo nel bene o nel male è sempre nelle prime pagine dei giornali...

Friday, February 20, 2009

6. "Persepolis" di Marjane Satrapi


Anno di prima pubblicazione: 2000
Genere: graphic novel, memoir
Paese: Iran

In italiano: Persepolis di Marjane Satrapi, edito da Sperling & Kupfer (2003), 15€ o da Lizard nella collana Tascabilizard (2002), 8,5 €

Sull’autrice: vedi questo post

Trama: E’ la storia di una bambina che cresce nell’Iran della rivoluzione islamica (1979) tra fondamentalisti islamici che le impongono di indossare il velo a scuola e ogni tipo di dissidenti, dai marxisti ai laici, che vi si oppongono. Poi arriva la guerra con l’Iraq e la vita di Marjane cambia irrimediabilmente, tanto che alla fine è costretta a lasciare il suo paese.

Alcuni pensieri: Questo libro di Marjane Satrapi mi è piaciuto molto di più di Chicken with Plums ed ora capisco perché tutti ne parlavano. L’Iran è un paese di cui l’italiano medio sa molto poco. Questo libro parla di politica e storia contemporanea dell’Iran (ma anche di politica internazionale, per esempio della guerra contro l'Iraq!). Ho letto in una recensione che la forza di Persepolis è riuscire a rendere la politica personale. Ed infatti il racconto di Satrapi è in prima persona: c’è l’immaginazione di una bambina che vuole diventare un profeta ma anche la realtà della guerra e dei bombardamenti. Si parla anche di differenza tra classi sociali, con Marjane che capisce quanto la sua vita sia diversa da quella della sua cameriera. Si accenna ai problemi delle minoranze iraniani (ebrei e curdi per esempio), tali come possono essere compresi da una bambina di quell'età. C'è tanta carne al fuoco, tanti spunti per andarsi a leggere una storia dell'Iran. E in effetti ieri ho visto che c'e una mostra sull'Iran al British Museum - non ho fatto in tempo a vederla (il British è così grande che ti ci vogliono 3 visite per vederlo tutto!) ma mi riprometto di farlo al più presto. E non vedo l’ora di leggere Persepolis 2!

PS: Questo è il 100esimo post! EVVIVA!!! Vi regalo questo video tratto dal film a cartoni animati co-diretto dalla Satrapi e che ha vinto il premio della giuria a Cannes:

Wednesday, February 4, 2009

4. "Chicken with Plums" di Marjane Satrapi

Anno di prima pubblicazione: 2004
Genere: graphic novel
Paese: Iran

In italiano: Pollo Alle Prugne. Un romanzo Iraniano di Marjane Satrapi, edito da Sperling & Kupfer, Collana Diritti e Rovesci (2005), 14 €

Sull’autrice: Marjane Satrapi è nata nel 1969 a Rasht, in Iran. Ora vive a Parigi, da dove collabora regolarmente con riviste e quotidiani di tutto il mondo, incluso The New Yorker e il New York Times. E’ anche autrice di numerosi libri per bambini, Embroideries, e di un’autobiografia a fumetti divisa in due parti: Persepolis e Persepolis 2. Si tratta di un bestseller che ha vinto numerosi premi e che è stato anche adattato per il grande schermo, con un cartone animato scritto e diretto dalla stessa Satrapi.

Trama: Si tratta della storia dello zio dell’autrice, un talentuoso musicista iraniano che ha rinunciato alla vita per la musica e l’amore. Siamo a Tehran, nel 1958, e Nasser Ali Khan, uno dei suonatori di tar più ammirati dell’Iran, scopre che il suo amato strumento è irreparabilmente distrutto. Non riesce a trovarne uno che gli parli con la stessa passione che lui fa provare agli altri con la sua musica. Disperato, rimane a letto, rifiutando le richieste d’amore della moglie e dei quattro figli. Nel frattempo compaiono flashback e flashforward, tra cui inaspettatamente appaiono personaggi come Sophia Loren o l’Angelo della Morte.

Alcuni pensieri: Questa è la mia prima “graphic novel”. I fumetti non mi hanno mai interessato particolarmente, nel senso che non mi ci sono mai appassionata. Non riesco a capire che cos’hanno di speciale le “graphic novels”: i disegni non sono belli (anzi, questi sono addirittura in bianco e nero) e non c’è spazio per scrivere tutto quello che si vuole come in un romanzo. Forse il motivo del loro successo è che si leggono in un attimo (lo scorso mese ho letto quasi tutte cose veloci) e che sono accessibili ad un numero maggiore di persone, quelle che non hanno la pazienza di leggersi un romanzo intero. Detto questo, Chicken with Plums è una storia carina, a tratti divertente e a tratti amara. Si imparano diverse cose sull’Iran degli anni ’50, per esempio che non c’è sempre stato il fondamentalismo islamico di Ahmadinejad, ma ancora prima dell’Ayatollah Khomeyni, l’Iran era un paese laico, dove le donne non indossavano il velo e le scuole erano laiche. Alla fine questo libro l'ho preso in prestito solo perché al momento Persepolis non era disponibile, ma in finale si è dimostrato una buona lettura per una sera.