Tuesday, April 28, 2009

11. "The Shadow of the Sun" di Ryszard Kapuscinsky ("Ebano")

Anno di prima pubblicazione: 1998 (in polacco)
Genere: non-fiction, saggistica, reportage,
Paese: Polonia / Africa sub-sahariana (Ghana, Tanzania, Uganda, Nigeria, Mauritania, Sudan, Rwanda, Liberia, Etiopia, Eritrea e probabilmente altri che non ricordo)

In italiano: “Ebano” di Ryszard Kapuscinsky, pubblicato da Feltrinelli nella collana Universale Economica (2002), 8 €

L’autore:
Ryszard Kapuscinsky è nato nel 1932 a Pinsk, che oggi si trova in Biellorussia ma che all’epoca era Polonia. Studiò a Varsavia e lavorò in Polonia fino al 1981 come corrispondente estero per l’agenzia di stampa polacca Pap, dove era responsabile per 50 paesi. Ha viaggiato molto in Africa, Asia e America, scrivendo sulle guerre, i colpi di stato e rivoluzioni in vari paesi del mondo. Tra i suoi libri più conosciuti, Il Negus (1983), che parla del declino dell’impero di Haile Selassie in Etiopia e Shah-in-shah (2001) sulla caduta di Mohammad Reza Pahlavi, l’ultimo shah dell’Iran. Il suo approccio ai paesi più disparati avveniva attraverso la lettura; era infatti solito leggere per mesi sul paese che stava per visitare. La sua scrittura è forse più narrativa che giornalistica, perché descrive gli incontri fatti durante i suoi viaggi e li usa per parlarci di come sono fatte le persone in paesi diversi dal nostro, ma anche per illustrare le caratteristiche di un certo luogo, sia questo il deserto, la giungla o un villaggio sperduto dell’Africa sub-sahariana. Kapuscinsky è stato più volte vicino a vincere il premio Nobel, prima della morte nel 2007.

Trama: Kapuscinski vive in prima persona tutte le guerre e i cambiamenti dell’Africa dagli anni ’50 agli anni ’90, dal Ghana che sta per ottenere l’indipendenza all’ascesa al potere di Amin in Uganda, dalla rivoluzione sull’isola di Zanzibar al genocidio in Rwanda.

Alcuni pensieri: Il modo di scrivere di Kapuscinsky è a metà strada tra il reportage e la letteratura, un po’ come il Bruce Chatwin de Le Vie dei Canti. Mi sono piaciuti in modo particolare tre capitoli, o almeno sono quelli che ricordo meglio ora, anche se il libro mi è piaciuto nella sua interezza.
Il primo è il capitolo su Idi Amin, personaggio che affascinava Kapuscinsky al punto che avrebbe voluto scrivere un libro su di lui. Amin è stato il dittatore dell’Uganda dal 1971 al 1979. Spiegare come quest’ufficiale dell’esercito poco istruito ma molto carismatico sia potuto salire al potere e dettar legge in Uganda per otto anni è lo scopo del saggio di Kapuscinsky. Avevo avuto modo di conoscere questo dittatore africano tramite un film, The Last King of Scotland (2006), che parla di un giovane medico scozzese che si reca in Uganda, inconsapevole del dominio incontrastato e delle atrocità commesse dal suo padre padrone. La storia che ci racconta Kapuscinsky aiuta a comprendere come personaggi come Mobutu in RDC o Mengistu in Etiopia (ma anche gli odierni Mugabe o al-Bashir) possano avere avuto tanto seguito e perché i genocidi e i colpi di stato continuino a susseguirsi in Africa, mentre in altre parti del mondo, per esempio in America Latina, sembrano essere cessati.
Un altro capitolo che mi ha particolarmente colpito è quello che spiega le ragioni del genocidio in Rwanda in maniera eccellente. Non solo Kapuscisnky spiega per filo e per segno su che cosa si basava la distinzione tra hutu e tutsi (una forzatura dei colonizzatori belgi, com’è risaputo), ma la paragona al sistema delle caste indiane, rendendo l’idea di quanto è stata forzata e insensata la divisione. Anche qui ho un collegamento cinematografico da consigliarvi, ovviamente Hotel Rwanda.
Il terzo capitolo che mi ha colpito è quello sulla Liberia, paese nato per ospitare gli schiavi liberati negli Stati Uniti, a cui è stato dato un pezzo di Africa a caso, ignorando le popolazioni africane che già abitavano quelle parti. Mi ha sempre affascinato la storia curiosa di questo paese e il meccanismo per cui degli ex-schiavi (o i loro figli e nipoti) sono diventati padroni in un paese che forse gli apparteneva ancestralmente, ma nel quale non si sono mai sentiti perfettamente a loro agio, rifiutando di integrarsi nella società africana che li aveva accolti. Gli ex-schiavi hanno riproposto quello che già conoscevano, cioè la relazione servo-padrone e il dominio di una parte della popolazione, quella americano-liberiana, su un’altra, quella africana, creando un vero e proprio regime di apartheid tra persone con la pelle dello stesso colore.In definitiva, non vedo l’ora di leggere un altro dei libri di Kapuscinsky (magari in italiano questa volta) per imparare altre cose sul mondo e sui paesi e personaggi che hanno affascinato l’autore e che continuano ad affascinare noi europei.

Sunday, April 19, 2009

10. “Une si longue lettre” di Mariama Bâ

Anno di prima pubblicazione: 1979
Genere: romanzo epistolare
Paese: Senegal

Sull’autrice: Nata nel 1929 in Senegal, Mariama Bâ era orfana di madre e ricevette l’educazione tradizionale dai suoi nonni. Incoraggiata dal padre, che all’epoca era Ministro della Salute, continua gli studi e passa il concorso della Scuola Normale. Insegnante per 12 anni e madre di nove figli, lotta contro le caste e la poligamia. Reclama l’istruzione gratuita per tutti e veri diritti per le donne.Muore nel 1981, dopo aver pubblicato il suo primo romanzo, Une si longue lettre, e alla vigilia della pubblicazione del secondo, Le Chant Écarlate.

Trama: Al centro del romanzo, una lettera che una donna senegalese, Ramatoulaye, scrive alla sua migliore amica durante la reclusione che tradizionalmente segue l’essere rimasta vedova. Ricorda gli anni in cui erano due studentesse desiderose di cambiare il mondo e la speranza suscitata dalle indipendenze dei paesi africani. Ma ricorda anche i matrimoni forzati e l’assenza di diritti per le donne. Ramatoulaye rivive anche il giorno in cui suo marito decise di prendere un’altra moglie, più giovane, rovinando venticinque anni di vita in comune e d’amore.

Alcuni pensieri: Une si longue lettre è un’opera maggiore per quel che concerne la condizione della donna nelle società africane e/o islamiche. Avevo sempre pensato che nelle società dove è un’usanza comune e ben radicata, le mogli non soffrissero di gelosie e fossero ormai rassegnate a condividere gli uomini, anche perché la maggioranza dei matrimoni in questi paesi sono combinati o comunque di convenienza, più un contratto che una storia d’amore. E invece, leggendo questo libro, ho scoperto che anche loro sono esattamente come noi donne occidentali: si innamorano e soffrono per amore, delle volte sposano l’uomo che amano e altre volte sono costrette a sposarsi, sono gelose delle mogli più giovani e finiscono per venire abbandonate e dimenticate dai mariti ormai diventati ricchi e potenti, in favore di donne più giovani. Nel libro si parla anche dei matrimonio tra strati sociali diversi e dei conseguenti problemi, anche se la questione non è spiegata nei minimi particolari. L’amica di Ramatoulaye è figlia di piccoli artigiani e sposa un giovane medico: il matrimonio è difficile a causa dei parenti di lui che la guardano dall’alto in basso (non che nelle società occidentali non succeda, sia ben chiaro). Non so se sia perché l’ho letto in francese e non me lo sono gustata a pieno o perché il romanzo effettivamente non era avvincente quanto sembrava, ma ho fatto molta fatica a finirlo, ed è piuttosto corto. Sono cosciente che questo è uno dei capisaldi della letteratura postcoloniale africana in lingua francese, ma la struttura (una lunghissima lettera ad una migliore amica) lo rende un po’ noioso e si fa anche confusione con i nomi (ci sono un paio di omonimi e nomi molto simili per personaggi che anche hanno dei tratti in comune). Certo, come tutti i libri che trattano di culture altre, è affascinante ed interessante: si legge della cultura e della vita di tutti i giorni nel Senegal degli anni cinquanta e di quello degli anni settanta.

Tuesday, April 14, 2009

9. "Londonstani" di Gautam Malkani

Anno di pubblicazione: 2006
Genere: romanzo
Paese: Regno Unito / India

In italiano: “Londonstani” di Gautam Malkani, edito da Guanda (2007), € 17

Sull’autore: Gautam Malkani è nato a Hounslow, Londra, nel 1976 da una madre ugandese di origini indiane. Ha studiato a Cambridge ed è un giornalista del Financial Times. Londonstani è il suo primo romanzo.

Trama: Si tratta della storia di quattro ragazzi figli, o figli dei figli, degli immigrati indiani in Inghilterra: Hardjit, Amit, Ravi e Jas. Si definiscono “rudeboys” e, dopo essere stati bocciati agli esami di maturità (A-level) campano un po’ con i soldi dei ricchi genitori e un po’ con un piccolo giro d’affari per sbloccare i cellulari dal gestore telefonico. La storia è narrata da Jas, che si innamora di una ragazza musulmana, Samira Ahmed, nonostante il divieto dei suoi amici. Sullo sfondo ci sono Hounslow, periferia di Londra, conflitti d’identità e di classe, ma anche il disagio adolescenziale e la difficoltà di avere un rapporto naturale con i propri genitori.

Alcuni pensieri: La cosa che mi ha spiazzato di più di questo libro è il linguaggio: un miscuglio tra l’inglese che si usa per scrivere gli SMS, un bel po’ di “gangsta English” e molte parole hindi/punjabi, il tutto condito con abbondanti parolacce e sconcezze in almeno tre lingue. Superato l’ostacolo iniziale (mi davano fastidio le parolacce ed ero più lenta del solito a leggere, perché dovevo decifrare tutte le abbreviazioni e lo slang) il libro è filato via liscio. In definitiva mi è piaciuto molto: mi sono sentita catapultata nel mondo di questi ragazzi, forse un po’ perché vivendo anch’io a Londra conoscevo gran parte dei riferimenti geografici. Per la strada, a scuola o in metropolitana incontro molti di questi adolescenti anglo-indiani che qualche volta parlano una lingua semi-incomprensibile. La maggior parte dei riferimenti culturali, ad ogni modo, riguardavano la cultura popolare indiana: musica e Bollywood principalmente, quindi in alcune parti devo confessare che mi sono sentita un po’spaesata, pur avendo letto credo ormai una ventina di romanzi con protagonisti indiani/pakistani della diaspora.
Mi è piaciuta molto la caratterizzazione dei personaggi, che escono da una tesi di laurea sui legami tra mascolinità ed etnicità nella zona di Hounslow, dove è ambientato il romanzo e da dove viene l’autore. C’è Hardjit (vero nome Harjit) un palestrato con una tigre tatuata sul braccio che è il vero leader della banda. La tigre rappresenta da un lato il fatto che Hardjit è il capo della combriccola di delinquentelli, dall’altro la sua aggressività e rabbia insensata verso tutti, specialmente per i non desi, chiamati anche gora (e qui potrei fare come nel libro e non farvi capire oppure mettere la nota a piè pagina). La tigre tatuata sul braccio di Hardjit ha infatti un’accezione negativa nelle culture asiatiche: è uno dei tre “Senseless Animals” del buddhismo e basta citare Shere Khan de Il Libro della Giungla per ricordarvi che neanche in India è vista di buon occhio. In realtà Hardjit è un mammone figlio di papà (“mummy’s boy” si direbbe in inglese) che gioca a fare il delinquente. Amit è invece tutto preso da quella che lui definisce “complicated family-related shit”: suo fratello Arun si deve infatti sposare e le schermaglie tra le due famiglie, che non appartengono alla stessa casta, fanno impazzire i due fratelli e di conseguenza anche il nostro narratore, Jas, che cerca di far ragionare tutti quanti ma alla fine è quello che ne esce più male. La questione è naturalmente legata al fatto che quello di Arun è un matrimonio d’amore, mentre i genitori erano convinti che un matrimonio combinato con una famiglia della loro casta sarebbe stato molto più semplice e conveniente per tutti. Poi c’è Jas, il narratore, in partenza un bravo ragazzo e un buono studente, che si è aggregato da poco al gruppetto di “rudeboys” e che è genuinamente attratto da una ragazza musulmana di nome Samira. I suoi amici gli hanno proibito di frequentarla, ma lui è testardo e inizia a uscire con lei, cercando di non far sapere niente a Hardjit e ai fratelli di Samira, che al contrario di lei sono integralisti e non accetterebbero che la sorella si veda con un non-musulmano. Jas, accecato dalla smania di piacere alla bellissima Samira, accetta i consigli di Sanjay, un giovane e losco imprenditore che da Hounslow è riuscito a “conquistare la City” ed ora vive nel lusso.
Qualcuno ha detto che questo libro non è autentico, nel senso che chi lo ha scritto non è un adolescente, non usa abitualmente quel gergo e non ha come unica prospettiva per il futuro un lavoro come scaricatore di valigie all’aeroporto di Heathrow (l’autore è infatti un giornalista per il Financial Times ed è andato all’università a Cambridge). Il Guardian scrive:

One reviewer described it as 'lazy, stereotypical and, worst of all for a "street-cred" novel, passé', while another dismissed it as an Ali G-style spoof written in an almost impenetrable gibberish that claims to be the vibrant language of today's Asian youth. [vedi questo articolo]


Ad ogni modo, tutti pensano che l’idea del libro sia buona, specialmente alla luce del colpo di scena finale, ma che appunto il linguaggio e gli atteggiamenti dei protagonisti suonino falsi. A parte che secondo me l’autore ha fatto una ricerca pazzesca per riuscire a sembrare autentico, ma lo stesso romanzo scritto da un adolescente che non è neanche riuscito a passare i suoi A-level non sarebbe così ben scritto. Quelli che vogliono la realtà che vadano a guardarsi un documentario; poi è chiaro che alcune espressioni possono sembrare datate (mi ricordo la parola “scene” per dire "cool" in On Beauty di Zadie Smith che mi faceva lo stesso effetto) ma non è questo il punto del libro: anche Il Giovane Holden oggi ha un linguaggio un po' datato, eppure rimane un bellissimo libro.
Non ho idea di come questo libro sia stato tradotto in italiano, ma dev’essere stata un’impresa. E’ uno di quei libri che vanno assolutamente letti in lingua originale, altrimenti perdono almeno metà della loro particolarità. Mi chiedo, tra le altre, che parola venga usata in italiano all’inizio del libro quando la gang picchia un ragazzo perché li ha chiamati “paki”, che in Inghilterra è l’insulto più comune per una persona di origine indiana, pakistana o bengalese, ma che non ha un corrispondente in italiano.
La cosa più scioccante però è il finale, che non vi rivelerò. Leggetelo.

Tuesday, April 7, 2009

Hey, English is not the only language in which fiction is written!

The International Prize for Arabic Fiction, a sort of Booker Prize of the Arab World, was awarded to Youssef Ziedan of Egypt for his controversial novel Azazeel (to be translated into English as "Beelzebub"). The novel speaks about religious fanaticism and mob violence among early Christians in Roman Egypt. Of course the Coptic Christians wanted it banned, but isn't it the case of too many fiction books on the Arab world? To take a stand on this is quite tricky I would say, since I gather that Copts (10 million in Egypt) are being discriminated in Egypt. I would like, instead, to emphasize the fact that Egyptian writers seem to be the most appreciated in the Arab world (or maybe by the western audiences?), starting from Ala Al-Aswani.
Here's the plot of Azazeel from an article taken from The Guardian:
"[Azazeel are] the memoirs of a fifth-century doctor-­monk and passionate lover named Hypa, whose scrolls are unearthed by a 20th-century translator. Born in AD 391, when Christianity was imposed as Roman Egypt's official religion, Hypa wanders east to the Holy Land after witnessing a mob of Alexandrian Christians lynching a woman, Hypatia, the neo-platonic philosopher and mathematician who defended science against religion. Ziedan sees the lynching as a symptom of religious intolerance, and the start of a scientific dark age.
The fictional monk stumbles on another historical conflict, between the Coptic Bishop Cyril of Alexandria, and Nestorius, the Syrian-born patriarch of Constantinople whom Cyril deposed as a heretic in a schism of AD 431."

Independent Foreign Fiction Prize: because literature is not only what is written in English, as most British - American people uncounsciously assume... It is nonetheless sad that what is awarded and thus considered in the English-speaking world is always what is indeed translated, which is a small part of the great literature that the world produces. I would like to hear more about English or American people who read fiction directly in French or Spanish.
Three considerations: 1) I'm happy for Colombian fiction that dominates with 2 books, demonstrating that it's not only Garcia Marquez that matters 2) A novel from such a minor language as Albanian has been translated and nominated and I'm happy because as an Italian I feel Albania particularly close 3) Two non-European languages (Chinese and Hebrew) appear on the list, which is extremely good.

Voiceover by Céline Curiol, translated by Sam Richard from the French
Beijing Coma by Ma Jian, translated by Flora Drew from the Chinese
The Siege by Ismail Kadaré, translated by David Bellos from the Albanian
The Armies by Evelio Rosero, translated by Anne McLean from the Spanish
The Informers by Juan Gabriel Vasquez, translated by Anne McLean from the Spanish
Friendly Fire by A B Yehoshua, translated by Stuart Schoffman from the Hebrew

PS: I've been receiving comments like "Hey, is The Siege any good?". I'd like to inform you that I didn't read all the novels I name in my blog, especially when I'm giving news on the literary prizes!

Monday, April 6, 2009

Berlusconate Memole Version

Italieni 2009 # 8:

Berlusconi fa una foto ricordo al G20, presenti tutti i più grandi leader mondiali e persino la regina Elisabetta. Poi vuole un'altra foto-ricordo e si mette a chiamare a squarciagola Mister Obama. Ottiene una foto-ricordo con lui e Medvedev, dove nonostante il fatto che il motivo della riunione sia molto grave, tutti s mostrano sorridenti e con il pollice alzato (perché mi sembra che in un'altra versione della foto sia Berlusconi ad avere il pollice alzato???). Come ha detto Dario Franceschini, è come se fosse in gita scolastica!

Ma questo non basta, per la gioia di tutti gli italiani a Strasburgo Berlusconi parla al telefono facendo aspettare la cancelliera Angela Merkel per ben 10 minuti sul tappeto rosso, finché si scoccia e se ne va. Come suggerisce l'articolo di Andrea Bonanni su La Repubblica di ieri domenica 5 aprile, tenta di ottenere ancora più consensi tra i "polli" italiani (tanto quelli stranieri non ci cascano). Qui i pezzi più significativi dell'articolo:

"Sarebbe infatti ingenuo pensare che il presidente del Consiglio abbia accumulato in pochi giorni un così straordinario numero di gaffe e di figuracce internazionali solo per insipienza. Unico esponente del G8 a non aver potuto incontrare Obama, incapace di acquisire credibilità tra i propri pari, ha adottato la tecnica della rottura del protocollo, per poter vendere almeno qualche scampolo di visibilità sul fronte interno, che è poi l’unico che gli interessi veramente. [...]
Il G20 sancisce una ritrovata unità tra i Grandi del Pianeta? Berlsuconi è prontissimo ad inseguire il presidente al grido di “Mister Obama!” e a costringerlo ad una foto-ricordo con il russo Medvedev che farà la prima pagina di tutti i giornali. I leader della Nato decidono che devono superare il veto turco e uscire dal vertice di Strasburgo con un accordo sulla nomina di Rasmussen? Berlusconi viola tutti i protocolli e i più elementari criteri di buona educazione per farsi riprendere dalle televisioni di tutto il mondo mentre telefona, in diretta, al primo ministro turco Erdogan per perorare la causa di Rasmussen.Poco importa che, nonostante i sorrisi di Obama e Medvedev nella foto-ricordo, la situazione dell’economia mondiale resti grave, o che il riavvicinamento dei rapporti tra Russia e Stati Uniti non abbia certo bisogno dei buoni uffici di Berlusconi. Poco importa che, per riconoscimento congiunto dei turchi e degli americani, l’accordo sul nome di Rasmussen sia arrivato dopo due colloqui, venerdì sera a Baden Baden e ieri mattina a Strasburgo, tra Obama e il presidente turco Gul, cui ha partecipato nella fase finale lo stesso Rasmussen. [...]
Ma questa logica televisiva dell’apparire a tutti i costi, anche pagando il prezzo di brutte figure, fa davvero bene al Paese? O fa bene solo al capo di governo e alla sua perenne ricerca di applausi domestici? Sarebbe bello se, almeno quando varca i confini nazionali, il presidente del consiglio ricordasse che le due istanze, il suo interesse e quello dell’Italia, posso anche non coincidere. La libertà di stampa, invece, coincide sicuramente con l’interesse di una democrazia. Perché la cronaca non è diffamazione e la critica non è calunnia." (tratto da La Repubblica di domenica 5 aprile 2009, pagine 1 e 6)

Premio Symbelmine

Ringrazio Uhuru na Usalama per questo premio, assegnato a "amiche blogger per la loro attività informativa fatta con radicalismo, cultura, sensualità, intelligenza, ironia e un sano spirito dissacrante". Non so se me lo merito, anche perché di femminile / femminista nel mio blog c'è poco più che il post sulla festa delle donne (tò, forse il post sull'Orange Prize for Fiction). Io giro il premio a NoirPink e vi segnalo in particolare questo suo post molto interessante sull'esperienza di chattare fingendo di essere una ragazza rom.

Cooming soon on Booksofgold / Italieni Memole Version:
- Berlusconi fa spazientire la Merkel, quello che è veramente successo... (!)
- Booker Prize arabo e premio per la 'translated fiction'
- Jorge Amado e il cacao (e prima o poi anche il signor Pessoa, visto che ultimamente mi sento un po' lusitana)