Un paio di settimane fa su Internazionale (n.824 – 4/10 dicembre 2009) è uscito un articolo di David Randall, un autorevole giornalista britannico, intitolato “Ho smesso di leggere i romanzi”.
Randall sostiene di non leggere un’opera di narrativa dal 1971 e di leggere solo ed esclusivamente saggistica. La cosa sconcertante non è tanto che David Randall preferisca la saggistica alla narrativa, ma che accantoni la narrativa con la motivazione che se i personaggi sono plausibili, non vale la pena leggere un’opera uscita dalla fantasia di uno scrittore.
Randall sostiene di non leggere un’opera di narrativa dal 1971 e di leggere solo ed esclusivamente saggistica. La cosa sconcertante non è tanto che David Randall preferisca la saggistica alla narrativa, ma che accantoni la narrativa con la motivazione che se i personaggi sono plausibili, non vale la pena leggere un’opera uscita dalla fantasia di uno scrittore.
Visto l'argomento del mio blog, non potevo che non essere d'accordo. Non leggere narrativa è un po’ come dire “non mi piace la fotografia d’autore perché conosco già com’è fatta la realtà”. La letteratura è una forma d’arte come la pittura o la scultura, come il cinema o, appunto, la fotografia. Secondo me i romanzi ci offrono punti di vista alternativi ed originali, a cui altrimenti non avremmo mai accesso. Un’opera di narrativa può scandagliare la mente umana in modi che i saggi scientifici non faranno mai, perché indaga le emozioni da un punto di vista personale, soggettivo, e non sempre affidabile (vedi per esempio “Il Giro di Vite” di Henry James). La narrativa fa riflettere sull’esistenza umana, sulla complessità e la vastità dei sentimenti e delle esperienze umane, ci fa conoscere parti del mondo e categorie di persone che altrimenti ci sarebbero inaccessibili.
Se per esempio leggiamo un saggio di storia sulla Londra vittoriana, avremo davanti ai nostri occhi una serie di dati e la consapevolezza, per esempio, dell’estrema povertà di un certo strato sociale di Londra, la presenza endemica di orfani e del lavoro minorile. Ma la storia, oltre a fornirci dati sulle masse, ci racconta quasi solamente dei grandi personaggi: la regina Vittoria o al massimo il suo consigliere prediletto. Per entrare nella vita delle persone comuni, per esempio di un ragazzino dell’epoca vittorian, e capirne le sofferenze e le emozioni non possiamo fare altro che leggere Dickens. Ho studiato a fondo la guerra di secessione americana e le sue cause, legate allo schiavismo e all’abolizionismo, ma posso dire di aver “capito” che cosa volesse dire essere uno schiavo nel profondo sud americano – se si può affermare di poter capire una cosa talmente orrenda - solo leggendo “Amatissima” di Toni Morrison! Ho pianto lacrime amare leggendo quel libro, cosa che non mi è mai capitata leggendo un libro di storia sull’argomento. E un'ultima cosa vorrei aggiungere, che tra l'altro calza a pennello perché ho appena citato Toni Morrison, che è una scrittrice dalla prosa a dir poco "poetica". La letteratura è spesso poesia! Il modo in cui vengono usate le metafore, le sinestesie, le allitterazioni... e poi l'ironia, il sarcasmo, la satira. C'è tutto e ancora più di tutto nella letteratura: c'è la sociologia, la psicologia, la storia e la politica.
PS: Mi sono ricordata che circa un anno fa avevo dato vita ad una serie di post intitolati "Parole dette al vento", scritture volanti rigorosamente in italiano dove intrecciavo autori che amo e parole o poesie nella speranza che qualcuno le "cogliesse" come le avevo colte io. Ne ho scritti solo due (e uno su Toni Morrison!) e poi me ne ero dimenticata, ironia della sorte. Ora ho rimesso il tag, ma credo che ci fossero altri post che potrebbero essere taggati con quel nome...
PS2: il link ad un'altra opinione sull'articolo di David Randall, da parte di un blogger di nome Patassa.