Tuesday, January 20, 2009

"Girls of Riyadh" di Rajaa Alsanea

Anno di prima pubblicazione: 2005
Genere: romanzo
Paese: Arabia Saudita

In italiano: Ragazze di Riad di Rajaa Alsanea, edito da Mondadori Oscar Grandi Bestseller (2009), € 12
Oppure, sempre edito da Mondadori, nella collana Omnibus (2007) € 18.


Sull’autrice: Rajaa Alsanea è nata nel 1981 in Arabia Saudita, da una famiglia di dottori. Ha studiato odontoiatria a Chicago. Girls of Riyadh è il suo primo romanzo, pubblicato in arabo nel 2005 con il titolo Banat al-Riyadh e subito proibito in Arabia Saudita, a causa del suo contenuto controverso. Nel 2007 il libro è stato tradotto in inglese, con alcuni piccoli cambiamenti dovuti all’impossibilità di mantenere la diversificazione dei diversi dialetti arabi nella traduzione.

Trama: Quattro giovani studentesse universitarie, di famiglie ricche e privilegiate, alla ricerca del vero amore. La città in cui vivono, però, è Riad, capitale dell'Arabia Saudita, e la società nella quale si muovono impone loro un numero infinito di regole e comportamenti, spesso dettati dalla famiglia o dalla comunità che non tengono in considerazione i loro desideri. Attraverso resoconti di un'anonima narratrice, che invia i propri scritti via internet, l'unico mezzo di comunicazione privata possibile, prendono forma le storie di Qamra, in continua lotta contro le tradizioni familiari e contro la propria debolezza; di Michelle, per metà araba e per metà americana, incapace di sopportare le restrizioni della società saudita e per questo vitti
ma della maldicenza; di Sadim, ferita da un amore che la condizionerà per la vita; e di Lamis, forte e determinata a conquistare sia l'uomo di cui si è innamorata sia la libertà in un altro paese.

Alcuni pensieri: Questo romanzo è interessantissimo, perché dà un’idea di che cosa vuol dire essere una ragazza saudita. Bilanciare le restrizioni imposte alle donne in Arabia Saudita con la coscienza di essere in realtà donne moderne e “potenzialmente emancipate” non dev’essere facile. Le ragazze saudite indossano abiti alla moda e molto sexy in casa, ma quando escono sono obbligate a portare abaya e niqab, cioè si coprono dalla testa ai piedi, lasciando scoperti solo gli occhi (e delle volte neanche quelli). Non possono bere alcol, ma di nascosto queste figlie della classe dirigente saudita, come i loro familiari, si scolano bottiglie intere di champagne. Le donne in Arabia Saudita non hanno il diritto di voto, non possono guidare l’auto né fare sport. Non solo uffici, ristoranti, autobus, scuole ed università sono segregati, ma le donne non possono uscire di casa senza un uomo della famiglia o il marito. Si tratta di una vera e propria “apartheid sessuale”. Il libro tratta anche di questo, ma il focus è più sulla ricerca dell’amore da parte di queste ragazze. Ma come possono trovare l’amore in una società che impedisce tutti i rapporti umani tra uomo e donna prima del matrimonio? Quando mettono piede fuori dal loro paese, queste ragazze cambiano radicalmente: l’abaya viene tolta già nella cabina dell’aereo e non si risparmiano di frequentare uomini nei café o nei ristoranti londinesi o newyorkesi. Quando tornano a Riyadh, però, rimettono diligentemente la loro abaya e ricominciano a vivere la loro vita segregata. Nonostante l’autrice all’inizio del romanzo inserisca una citazione (dal Corano naturalmente) che dica che il cambiamento può avvenire soltanto se c’è un cambiamento dentro noi stessi, come si può applicare al libro? Il problema non sembrano essere le donne, intelligenti, colte e probabilmente pronte al cambiamento, ma gli uomini sauditi, egoisti e detentori del potere decisionale ed economico, che sono abituati a trattare le donne come comodità. E’ facile avere delle mogli che non chiedono di sacrificare la famiglia per la carriera, non possono praticamente uscire di casa e non possono chiedere il divorzio. Perché gli uomini sauditi dovrebbero cambiare? Ad ogni modo, il libro è un po’ più ottimista di me e alcune delle ragazze alla fine trovano l’amore, o almeno così sembra. Non che trovino l'emancipazione nel loro paese, sia chiaro.
Rajaa Alsanea non vincerà di certo il Premio Nobel (lo stile è ancora un po' ingenuo, anche se il libro è scorrevole ed avvincente) ma l'argomento trattato è estremamente interessante e originale. Non capita molto spesso di leggere questi resoconti scritti di pugno da una ragazza che ha vissuto queste cose! Tuttavia, mi sarebbe piaciuto un po' più di enfasi sulla questione dei diritti umani per le donne in Arabia Saudita, anziché sulla ricerca dell'amore vero, ossessione che delle volte sembra quasi far diventare il romanzo una specie di telenovela alla saudita.

STARS: 3/5

7 comments:

  1. sembra interessante, sempre che non cada nel cliché dell'affresco mediorientale al femminile. Forse lo provo!

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  2. Benvenuta sul blog! Di "affresco mediorientale" come dici tu non c'è neanche l'ombra e lo dice l'autrice all'inizio del romanzo: l'Arabia Saudita evoca le mille e una notte (Arabian Nights in inglese, di qui l'assonanza), ma scordatevele, perché qui non si parla di notte lussuriose tra cuscini e tappeti orientali, ma dell'Arabia Saudita moderna.
    Niente a che vedere con alcuni romanzi pubblicati in Italia ultimamente che parlano di lascivia mediorientale dimenticando fattori sociali e storia del paese. L'unico difetto secondo me è che il libro verte sul genere love story... se lo puoi sopportare.

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  3. Mi hai fatto venire voglia di andarlo a comprare:adoro le testimonianze su un mondo che tutti dipingono come incomprensibile ma che a me affascina parecchio;a casa ho un sacco di letteratura araba;Sto leggendo la terrazza proibita di Fatema Mernissi:te lo consiglio.

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  4. Invece io ho cominciato ad interessarmi di letteratura araba solo recentemente. "La terrazza proibita" sembra interessante (ho appena controllato la trama): come "Ragazze di Riad" è un resoconto personale, quindi per forza veritiero. Io diffido di quei romanzi scritti da occidentali sul medioriente (mi ricordo "Schiave" di qualche anno fa)...

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  5. ultimamente anche gli autori di quella regione stanno trovando, meritatamente, il loro spazio. ne sono contento. a presto. ciaoooooo!

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  6. Hai ragione Calogero, era ora! Speriamo che poi venga il turno dei cinesi e degli asiatici in generale. A parte gli indiani che scrivono in inglese, anche loro hanno poco spazio (a parte qualche sparuta eccezione giapponese). Grazie per essere passato per il blog!

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  7. Stefania sono d'accordissimo con te!Lasciamo che sia gli arabi a parlarci di loro stessi e del loro mondo senza la presunzione occidentale di sapere tutto e giudicare tutto!

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