Tuesday, June 7, 2011

“Jasmine” di Bharati Mukherjee


Anno di prima pubblicazione: 1989
Genere: romanzo
Paese: India / Canada / USA

Jyoti, Jasmine Vijh, Jase e Jane Ripplemeyer non sono la stessa persona. Jyoti vive in un villaggio del Punjab indiano, in una casa senza elettricità e senza servizi igienici, Jasmine invece vive con il marito Prakash in un piccolo appartamento a Jullundhar, dove si sforza di leggere il manuale d’installazione di un videoregistratore per esercitare il suo inglese, in attesa di poter emigrare in America. Jase è una ‘live-in caregiver’, cioè una bambinaia, in un ampio e costoso appartamento dell’Upper West Side di New York, ed ha una cotta per il suo datore di lavoro, mentre Jane Ripplemeyer è la giovane moglie di un banchiere dell’Iowa di mezza età che per lei ha lasciato la moglie e da cui aspetta un bambino. Purtroppo però lui è diventato invalido dopo che alla vigilia di Natale un agricoltore sommerso dai debiti gli ha sparato due colpi di pistola alla schiena davanti alla porta di casa, mentre lei si trova illegalmente nel paese e ha un passato di violenza e confusione che cerca di dimenticare. Non si tratta però di un libro in cui si intrecciano diverse storie apparentemente scollegate tra loro, ma un’unica vicenda, in cui la protagonista si reinventa continuamente, modificando la propria identità man mano che la sua esperienza americana prosegue e man mano che conquista consapevolezza di che cosa significhi rifarsi una vita in un paese nuovo.

Lasciandosi alle spalle la vedovanza (il marito viene improvvisamente ucciso da un attentatore Sikh), Jasmine viene prima abusata dal marinaio sfigurato che comandava la nave container con cui è arrivata illegalmente in America, poi finisce nel quartiere-ghetto di Flushing, a New York, ospite del vecchio professore del marito morto. Insoddisfatta di quella vita, troppo simile a quella che conduceva in India, Jasmine trova lavoro come bambinaia presso gli Hayes, che la trattano come fosse un’ospite e un’amica, anziché una domestica. La storia si dipana con continui flashback, perciò non capiamo fino quasi alla fine del libro come Jasmine sia finita in una comunità rurale dell’Iowa, dove la gente fa fatica a capire le sue origini e che cosa implicano.

La trama, come scrisse il New York Times a proposito di un altro libro dell’autrice, non è mai stato il punto forte di Bharati Mukherjee: diversi sono i punti in cui il dipanarsi delle vicissitudini dei personaggi diventa poco realistico o addirittura assurdo. Per esempio, la protagonista uccide un uomo che la voleva violentare, infliggendogli numerose coltellate all’addome, poi prosegue per la sua strada, diventano bambinaia, moglie e madre. Non si arrovella mai sulle ragioni che avevano portato l’uomo, un marinaio dal volto sfigurato, cattivo come solo i personaggi delle favole, a guadagnarsi da vivere con il contrabbando di vite umane. Non ha turbamenti, né incubi, se non una leggera esitazione, seguita da puro piacere, quando entro in doccia, essendo questa una comodità provata per la prima volta proprio nella camera del motel doveva alloggiava con quest’uomo. Jasmine può persino dire a Du, il figlio adottivo, cresciuto nei campi profughi vietnamiti dove ha visto ogni tipo di atrocità, che una volta ha ucciso un uomo, senza che il rapporto madre-figlio si incrini. Ma le inconsistenze non finiscono qui: Du, che ha solo quindic’anni, decide di lasciare la famiglia adottiva per raggiungere la sorella che lavora in uno stand di tacos a Los Angeles, senza neanche salutare il padre e lasciando la madre con un fucile in mano per difendersi dal vicino di casa depresso ed esasperato che minaccia di ucciderla (o di uccidersi). Potrei fare molti altri esempi, ma il succo è questo: gli addii, le perdite, i traumi non sono affrontati ed analizzati in modo abbastanza approfondito. In altre parole i personaggi non rimuginano sulle loro scelte, come succede nella realtà, e le ferite non lasciano cicatrici indelebili. 

Si tratta tuttavia di un libro per niente noioso, dal ritmo abbastanza incalzante, anche grazie anche all’utilizzo di frasi spesso molto corte, che però suonano talvolta innaturali, come se l’autrice avesse cercato di riprodurre il romanzo di un perfetto scrittore maschio ed americano, conciso e pragmatico. Vent’anni fa per i temi affrontati il libro era probabilmente abbastanza innovativo e certamente scioccante. L’America di Bharati Mukherjee è il paese dalle mille possibilità, dove un’immigrata illegale che ha ucciso un uomo può diventare una rispettabile Mrs. Ripplemeyer, ma è anche un paese pericoloso, dove un padre di famiglia e un marito amorevole può rimanere invalido in seguito ad un conflitto a fuoco o dove l’immigrazione illegale scorre clandestinamente senza che gli americani ne siano coscienti.

Jasmine ha sempre vissuto sull’orlo del cambiamento: il Punjab in cui un astrologo le aveva predetto una vita da vedova è stato spazzato via nel giro di qualche anno dalla rivoluzione degli scooter e della televisione, ed anche i contadini dell’Iowa stanno vivendo un’epoca di cambiamenti. Nuove identità segnate da un trattino sono arrivate in città e nuove possibilità si aprono per i giovani agricoltori della zona. Alla fine Jasmine dovrà scegliere tra una vecchia vita di oneri e doveri, in altre parole una vita da ‘care-giver’, e una nuova esistenza più libera, identificata con lo spirito americano e l’espansione verso ovest. Il finale spiazza e mette molto a disagio, soprattutto per motivi etici, ma anche strutturali al libro.

La protagonista si invaghisce e poi innamora del suo datore di lavoro, Taylor Hayes: ‘Mi innamorai del suo mondo, del suo essere sempre a proprio agio, della sua spontanea sicurezza e del suo aggraziato auto-assorbimento. Volevo diventare la persona che pensavano di vedere: divertente, intelligente, raffinata, affettuosa.(p.171). Taylor è, in poche parole, l’America stessa, inconsciamente affascinante, tanto da voler essere imitata ed assimilata. Ad un certo punto l’insegnante di Du osserva come egli stia cercando di diventare americano il più in fretta possibile. E’ esattamente quello che cerca di fare anche Jasmine: sostituisce il sari con ‘T-shirts and cords’, impara i nomi delle squadre di baseball locali e compra Dairy Queen al centro commerciale, imparando anche a camminare come un’americana. E’ una metamorfosi completa: nel finale la protagonista è cosciente di aver completamente reciso la sua metà indiana, a differenza del figlio che ha mantenuto dei contatti con la comunità di origine, ma non sembra fare alcun passo per andare nella direzione del figlio. A me sembra che questa scelta rifletta un po’ quella cultura del ‘melting pot’ che andava di moda in America negli anni ’80 e ’90: un calderone in cui il nuovo immigrato si immerge per sciogliersi in una cultura più omogenea.

Sull’autrice: Bharati Mukherjee è nata a Calcutta nel 1940 in una famiglia benestante ed ha studiato sia in India che negli Stati Uniti (Iowa). Ha vissuto per una decina d’anni in Canada con il marito, prendendo la nazionalità canadese, ma ora vive negli Stati Uniti, dove insegna scrittura creativa. I suoi lavori parlano spesso delle difficoltà nel forgiarsi una nuova identità americana e dei problemi affrontati dalla comunità indiano-americana. Tra i suoi romanzi, ricordiamo “Desirable Daughters” (2002) e tra le raccolte di racconti “The Middleman and Other Stories” (1988), che ha vinto il National Book Critics Circle Award e che contiene la storia da cui è nato il germe del romanzo “Jasmine” (1989). In italiano, a quanto mi risulta, è stata tradotta solo la raccolta di racconti "Episodi isolati" (edito dalla Feltrinelli, 1992, e pubblicato originariamente negli Stati Uniti nel 1985 con il titolo "Darkness").

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