Anno di prima pubblicazione: 1998
Genere: romanzo, saga familiare
Paese: India
Kishor Babu, dopo un’operazione di bypass, comincia a girare a piedi per le strade di Calcutta, mentre prima d’allora girava esclusivamente in auto e non si fidava di coloro che non la possedevano. Per di più, si allontana dal suo elegante quartiere europeo nel sud della città per addentrarsi nelle caotiche viuzze di Bara Bazar, il quartiere popolare nel nord di Calcutta dove abitava un tempo. Si mette a fissare la gente che mangia seduta in fila su panche di legno senza guardare né a destra né a sinistra e si fa domande come “le donne che camminano per la strada in città, dove vanno a fare pipì?”.
La moglie e i figli si preoccupano molto, pensano che sia impazzito. Kishor Babu, in realtà, è semplicemente alla ricerca del suo passato, sta rivalutando le scelte che ha fatto in gioventù. Appartenente alla comunità Marvari, potenti mercanti originari del Rajasthan, Kishor Babu è stato costretto a badare agli affari, dimenticando completamente gli ideali giovanili. Inizia quindi un viaggio della memoria che è anche un viaggio per le strade di Calcutta: Kishor Babu ricorda in particolare i due amici d’infanzia, Amolak e Shantnu, il primo tenace sostenitore di Gandhi e della lotta non violenta negli anni prima dell’indipendenza, il secondo acceso nazionalista hindu del Bengala che adora il controverso personaggio di Subhashchandra Bos. Kishor Babu ricostruisce però anche la storia della propria famiglia, una storia che si è voluta dimenticare nell’affanno di nascondere la provenienza da una famiglia piuttosto semplice. Dal bisnonno che si era arricchito anche grazie agli inglesi, fino ai ribaltamenti di fortuna e alle dispute tra studenti riguardo alla politica pre-indipendenza.
“Bypass al Cuore di Calcutta” è un libro complicato, con moltissimi riferimenti alla cultura e alla storia indiana (ma per fortuna c’è un glossario) ed un finale aperto, da interpretare, per giunta. Alka Saraogi condisce il racconto con un certo velato sarcasmo, non risparmiando critiche pungenti all’odierna società indiana guidata unicamente dal desiderio di arricchirsi, dimentica di antiche vocazioni più nobili. Questo è stato il mio primo libro tradotto dall’hindi, dopo una lunga lista di romanzi indiani scritti in inglese. Il fatto che il romanzo sia concepito soprattutto per un pubblico indiano infoltisce di molto l’apparato culturale che il lettore dev’essere disposto a capire e ad imparare e ciò ne fa un romanzo non per tutti i palati.
Mi hanno colpito in particolar modo i passaggi sulle donne. Dal punto di vista di Kishor Babu, che è convinto di essersi comportato nel miglior modo possibile nei confronti delle donne delle famiglia:
“Quanto era stato attento alla cognata Shanta.. Sulla sari bianca una macchia si vede subito. Se l’onore della cognata si fosse macchiato, la famiglia sarebbe stata disonorata per sempre. In casa non aveva mia lasciato entrare nessun uomo. Tre donne, cinque figlie: cioè in totale otto femmine. […] Non ci si può fidare di nessun uomo – Kishor Babu s’era fatto un nodo al fazzoletto – quale che sia l’aspetto che assume. Con questa convinzione, non aveva mai permesso alla mamma, alla cognata e alla moglie nemmeno di andare a una riunione religiosa, a una predica e al tempio. Quando ora Kishor Babu si volta indietro, non gli sembra di aver commesso degli errori. Conosce tutte le storie degli altri. Si è sempre comportato con grande cautela. Che c’è di sbagliato in questo? Alla fine, Rupan Deval sarà pure diventata un’altissima funzionaria, ma non è che una donna in fondo. Gil le ha dato o no una serie di sculacciate? E lui non ha mai ecceduto. La moglie di Madanmohan Singhaniya, quello che frequentava la sua stessa scuola, era costretta a stare seduta tutto il giorno su uno sgabello con il velo abbassato sul volto, al punto che, quando mangiava, il boccone invece che in bocca finiva nel naso. Shantnu si era sbellicato dalle risa. Se lo ricorda ancora. Kishor Babu non ha mai permesso a sua moglie di mettersi il segno di carminio, l’anello al naso, i campanellini e le cavigliere. Non ha fatto forare il naso alle figlie. Le donne non sono delle vacche o delle bufale da metter loro l’anello al naso. […] Aveva fatto studiare tutte le sue figlie fino al College. Non importa poi se solo due si fossero laureate e le altre erano state maritate prima di arrivare alla laurea. Le aveva mandate a scuola, tuttavia le aveva sempre tenute entro certi limiti. La troppa libertà non gli era mai andata a genio. Le aveva protette in ogni modo dagli sguardi degli estranei. Non aveva mai permesso loro di stare in piedi nella veranda, perché la gente per strada le avrebbe viste. L’unico contatto che aveva loro permesso con la strada era stato quello di uscire dalla porta e attraversare il marciapiedi, per sedersi nell’auto che aspettava sulla via. Non aveva mai permesso alle sue figlie di frequentare le case delle amiche. Né che andassero al cinema con le amiche. Parecchie volte le figlie si erano lamentare con la nonna, ma Kishor Babu non si era commosso. Come avrebbe potuto affrontare un simile rischio? Se in società si fosse sussurrata anche una sola volta una piccola malizia, lui avrebbe perso per sempre l’onore. Tutto quello che aveva costruito in tanti anni sarebbe finito nella polvere. Se l’uccellino nato in gabbia viene tenuto nella gabbia, non ne soffre. Ma se una sola volta lo si lascia volare in cielo, per poi chiuderlo di nuovo nella gabbia, smette di nutrirsi. In fin dei conti le ragazze dovevano andare in una casa estranea, dovevano occuparsi della loro famiglia. Se erano troppo vivaci, sarebbe stato un guaio per loro.” (pag. 276-77)
In questo caso specifico, mi pare ovvio che - a differenza di altri romanzi in cui manca un paradigma alternativo di riferimento - la scrittrice non condivide le opinioni del protagonista del suo romanzo riguardo alle donne, non solo perché lei stessa è una donna, ma anche per la sottile ironia di alcuni passaggi (il fatto che Kishor Babu non si fidi di nessun uomo ma che egli stesso sia uomo è non solo ironico ma anche molto più banalmente comico).
Sull'autrice: Alka Saraogi è nata nel 1960 a Calcutta e scrive in Hindi. Appartiene alla comunità Marvari. E' autrice di due raccolte di racconti: "Kahani ki talash men" (Alla Ricerca del Racconto, 1996), "Dusri kahani" (Un Altro Racconto, 2000), e di due romanzi: "Bypass al Cuore di Calcutta" e "La Storia di Ruby Di", entrambi editi da Neri Pozza. Alka Saraogi è stata protagonista di un incontro alla manifestazione letteraria Incroci di Civiltà, a cui ho assistito. Ne parlo qui.
Genere: romanzo, saga familiare
Paese: India
Kishor Babu, dopo un’operazione di bypass, comincia a girare a piedi per le strade di Calcutta, mentre prima d’allora girava esclusivamente in auto e non si fidava di coloro che non la possedevano. Per di più, si allontana dal suo elegante quartiere europeo nel sud della città per addentrarsi nelle caotiche viuzze di Bara Bazar, il quartiere popolare nel nord di Calcutta dove abitava un tempo. Si mette a fissare la gente che mangia seduta in fila su panche di legno senza guardare né a destra né a sinistra e si fa domande come “le donne che camminano per la strada in città, dove vanno a fare pipì?”.
La moglie e i figli si preoccupano molto, pensano che sia impazzito. Kishor Babu, in realtà, è semplicemente alla ricerca del suo passato, sta rivalutando le scelte che ha fatto in gioventù. Appartenente alla comunità Marvari, potenti mercanti originari del Rajasthan, Kishor Babu è stato costretto a badare agli affari, dimenticando completamente gli ideali giovanili. Inizia quindi un viaggio della memoria che è anche un viaggio per le strade di Calcutta: Kishor Babu ricorda in particolare i due amici d’infanzia, Amolak e Shantnu, il primo tenace sostenitore di Gandhi e della lotta non violenta negli anni prima dell’indipendenza, il secondo acceso nazionalista hindu del Bengala che adora il controverso personaggio di Subhashchandra Bos. Kishor Babu ricostruisce però anche la storia della propria famiglia, una storia che si è voluta dimenticare nell’affanno di nascondere la provenienza da una famiglia piuttosto semplice. Dal bisnonno che si era arricchito anche grazie agli inglesi, fino ai ribaltamenti di fortuna e alle dispute tra studenti riguardo alla politica pre-indipendenza.
“Bypass al Cuore di Calcutta” è un libro complicato, con moltissimi riferimenti alla cultura e alla storia indiana (ma per fortuna c’è un glossario) ed un finale aperto, da interpretare, per giunta. Alka Saraogi condisce il racconto con un certo velato sarcasmo, non risparmiando critiche pungenti all’odierna società indiana guidata unicamente dal desiderio di arricchirsi, dimentica di antiche vocazioni più nobili. Questo è stato il mio primo libro tradotto dall’hindi, dopo una lunga lista di romanzi indiani scritti in inglese. Il fatto che il romanzo sia concepito soprattutto per un pubblico indiano infoltisce di molto l’apparato culturale che il lettore dev’essere disposto a capire e ad imparare e ciò ne fa un romanzo non per tutti i palati.
Mi hanno colpito in particolar modo i passaggi sulle donne. Dal punto di vista di Kishor Babu, che è convinto di essersi comportato nel miglior modo possibile nei confronti delle donne delle famiglia:
“Quanto era stato attento alla cognata Shanta.. Sulla sari bianca una macchia si vede subito. Se l’onore della cognata si fosse macchiato, la famiglia sarebbe stata disonorata per sempre. In casa non aveva mia lasciato entrare nessun uomo. Tre donne, cinque figlie: cioè in totale otto femmine. […] Non ci si può fidare di nessun uomo – Kishor Babu s’era fatto un nodo al fazzoletto – quale che sia l’aspetto che assume. Con questa convinzione, non aveva mai permesso alla mamma, alla cognata e alla moglie nemmeno di andare a una riunione religiosa, a una predica e al tempio. Quando ora Kishor Babu si volta indietro, non gli sembra di aver commesso degli errori. Conosce tutte le storie degli altri. Si è sempre comportato con grande cautela. Che c’è di sbagliato in questo? Alla fine, Rupan Deval sarà pure diventata un’altissima funzionaria, ma non è che una donna in fondo. Gil le ha dato o no una serie di sculacciate? E lui non ha mai ecceduto. La moglie di Madanmohan Singhaniya, quello che frequentava la sua stessa scuola, era costretta a stare seduta tutto il giorno su uno sgabello con il velo abbassato sul volto, al punto che, quando mangiava, il boccone invece che in bocca finiva nel naso. Shantnu si era sbellicato dalle risa. Se lo ricorda ancora. Kishor Babu non ha mai permesso a sua moglie di mettersi il segno di carminio, l’anello al naso, i campanellini e le cavigliere. Non ha fatto forare il naso alle figlie. Le donne non sono delle vacche o delle bufale da metter loro l’anello al naso. […] Aveva fatto studiare tutte le sue figlie fino al College. Non importa poi se solo due si fossero laureate e le altre erano state maritate prima di arrivare alla laurea. Le aveva mandate a scuola, tuttavia le aveva sempre tenute entro certi limiti. La troppa libertà non gli era mai andata a genio. Le aveva protette in ogni modo dagli sguardi degli estranei. Non aveva mai permesso loro di stare in piedi nella veranda, perché la gente per strada le avrebbe viste. L’unico contatto che aveva loro permesso con la strada era stato quello di uscire dalla porta e attraversare il marciapiedi, per sedersi nell’auto che aspettava sulla via. Non aveva mai permesso alle sue figlie di frequentare le case delle amiche. Né che andassero al cinema con le amiche. Parecchie volte le figlie si erano lamentare con la nonna, ma Kishor Babu non si era commosso. Come avrebbe potuto affrontare un simile rischio? Se in società si fosse sussurrata anche una sola volta una piccola malizia, lui avrebbe perso per sempre l’onore. Tutto quello che aveva costruito in tanti anni sarebbe finito nella polvere. Se l’uccellino nato in gabbia viene tenuto nella gabbia, non ne soffre. Ma se una sola volta lo si lascia volare in cielo, per poi chiuderlo di nuovo nella gabbia, smette di nutrirsi. In fin dei conti le ragazze dovevano andare in una casa estranea, dovevano occuparsi della loro famiglia. Se erano troppo vivaci, sarebbe stato un guaio per loro.” (pag. 276-77)
In questo caso specifico, mi pare ovvio che - a differenza di altri romanzi in cui manca un paradigma alternativo di riferimento - la scrittrice non condivide le opinioni del protagonista del suo romanzo riguardo alle donne, non solo perché lei stessa è una donna, ma anche per la sottile ironia di alcuni passaggi (il fatto che Kishor Babu non si fidi di nessun uomo ma che egli stesso sia uomo è non solo ironico ma anche molto più banalmente comico).
Sull'autrice: Alka Saraogi è nata nel 1960 a Calcutta e scrive in Hindi. Appartiene alla comunità Marvari. E' autrice di due raccolte di racconti: "Kahani ki talash men" (Alla Ricerca del Racconto, 1996), "Dusri kahani" (Un Altro Racconto, 2000), e di due romanzi: "Bypass al Cuore di Calcutta" e "La Storia di Ruby Di", entrambi editi da Neri Pozza. Alka Saraogi è stata protagonista di un incontro alla manifestazione letteraria Incroci di Civiltà, a cui ho assistito. Ne parlo qui.