Anno di prima pubblicazione: 1998 (in polacco)
Genere: non-fiction, saggistica, reportage,
Paese: Polonia / Africa sub-sahariana (Ghana, Tanzania, Uganda, Nigeria, Mauritania, Sudan, Rwanda, Liberia, Etiopia, Eritrea e probabilmente altri che non ricordo)
In italiano: “Ebano” di Ryszard Kapuscinsky, pubblicato da Feltrinelli nella collana Universale Economica (2002), 8 €
L’autore: Ryszard Kapuscinsky è nato nel 1932 a Pinsk, che oggi si trova in Biellorussia ma che all’epoca era Polonia. Studiò a Varsavia e lavorò in Polonia fino al 1981 come corrispondente estero per l’agenzia di stampa polacca Pap, dove era responsabile per 50 paesi. Ha viaggiato molto in Africa, Asia e America, scrivendo sulle guerre, i colpi di stato e rivoluzioni in vari paesi del mondo. Tra i suoi libri più conosciuti, Il Negus (1983), che parla del declino dell’impero di Haile Selassie in Etiopia e Shah-in-shah (2001) sulla caduta di Mohammad Reza Pahlavi, l’ultimo shah dell’Iran. Il suo approccio ai paesi più disparati avveniva attraverso la lettura; era infatti solito leggere per mesi sul paese che stava per visitare. La sua scrittura è forse più narrativa che giornalistica, perché descrive gli incontri fatti durante i suoi viaggi e li usa per parlarci di come sono fatte le persone in paesi diversi dal nostro, ma anche per illustrare le caratteristiche di un certo luogo, sia questo il deserto, la giungla o un villaggio sperduto dell’Africa sub-sahariana. Kapuscinsky è stato più volte vicino a vincere il premio Nobel, prima della morte nel 2007.
Trama: Kapuscinski vive in prima persona tutte le guerre e i cambiamenti dell’Africa dagli anni ’50 agli anni ’90, dal Ghana che sta per ottenere l’indipendenza all’ascesa al potere di Amin in Uganda, dalla rivoluzione sull’isola di Zanzibar al genocidio in Rwanda.
Alcuni pensieri: Il modo di scrivere di Kapuscinsky è a metà strada tra il reportage e la letteratura, un po’ come il Bruce Chatwin de Le Vie dei Canti. Mi sono piaciuti in modo particolare tre capitoli, o almeno sono quelli che ricordo meglio ora, anche se il libro mi è piaciuto nella sua interezza.
Il primo è il capitolo su Idi Amin, personaggio che affascinava Kapuscinsky al punto che avrebbe voluto scrivere un libro su di lui. Amin è stato il dittatore dell’Uganda dal 1971 al 1979. Spiegare come quest’ufficiale dell’esercito poco istruito ma molto carismatico sia potuto salire al potere e dettar legge in Uganda per otto anni è lo scopo del saggio di Kapuscinsky. Avevo avuto modo di conoscere questo dittatore africano tramite un film, The Last King of Scotland (2006), che parla di un giovane medico scozzese che si reca in Uganda, inconsapevole del dominio incontrastato e delle atrocità commesse dal suo padre padrone. La storia che ci racconta Kapuscinsky aiuta a comprendere come personaggi come Mobutu in RDC o Mengistu in Etiopia (ma anche gli odierni Mugabe o al-Bashir) possano avere avuto tanto seguito e perché i genocidi e i colpi di stato continuino a susseguirsi in Africa, mentre in altre parti del mondo, per esempio in America Latina, sembrano essere cessati.
Un altro capitolo che mi ha particolarmente colpito è quello che spiega le ragioni del genocidio in Rwanda in maniera eccellente. Non solo Kapuscisnky spiega per filo e per segno su che cosa si basava la distinzione tra hutu e tutsi (una forzatura dei colonizzatori belgi, com’è risaputo), ma la paragona al sistema delle caste indiane, rendendo l’idea di quanto è stata forzata e insensata la divisione. Anche qui ho un collegamento cinematografico da consigliarvi, ovviamente Hotel Rwanda.
Il terzo capitolo che mi ha colpito è quello sulla Liberia, paese nato per ospitare gli schiavi liberati negli Stati Uniti, a cui è stato dato un pezzo di Africa a caso, ignorando le popolazioni africane che già abitavano quelle parti. Mi ha sempre affascinato la storia curiosa di questo paese e il meccanismo per cui degli ex-schiavi (o i loro figli e nipoti) sono diventati padroni in un paese che forse gli apparteneva ancestralmente, ma nel quale non si sono mai sentiti perfettamente a loro agio, rifiutando di integrarsi nella società africana che li aveva accolti. Gli ex-schiavi hanno riproposto quello che già conoscevano, cioè la relazione servo-padrone e il dominio di una parte della popolazione, quella americano-liberiana, su un’altra, quella africana, creando un vero e proprio regime di apartheid tra persone con la pelle dello stesso colore.In definitiva, non vedo l’ora di leggere un altro dei libri di Kapuscinsky (magari in italiano questa volta) per imparare altre cose sul mondo e sui paesi e personaggi che hanno affascinato l’autore e che continuano ad affascinare noi europei.
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