Tuesday, May 10, 2011

"Con il Sari Rosa" di Sampat Pal

Anno di prima pubblicazione: 2008
Genere: memoir
Paese: India

"Con il Sari Rosa" di Sampat Pal (in collaborazione con Anne Berthod), edito da Edizioni Piemme, 16 €


Ho sentito parlare di Sampat Pal e della sua Gulabi Gang per la prima volta qualche anno fa e la storia mi aveva colpito. Si tratta di un gruppo di donne indiane generalmente appartenenti alle caste più basse che hanno creato una rete di solidarietà femminile che si impegn a difendere i diritti delle donne di fronte ai più svariati soprusi. Come marchio di riconoscimento indossano tutte un sari rosa (gulabi vuol dire appunto rosa) e portano sempre con sé un lathi, il tipico bastone da combattimento usato anche dalla polizia indiana. 
"Con il Sari Rosa" è il memoir della fondatrice dell'associazione, Sampat Pal, scritto con l'aiuto di una ghost writer, Anne Berthod, giornalista francese che ha scritto, tra l'altro, "Slumgirl Dreaming", sulla storia rags to riches della bambina di "Slumdog Millionaire" (libro che mi risparmio volentieri). Sampat Pal Devi è nata da una famiglia poverissima dell'Uttar Pradesh ed appartiene ad una delle caste più basse, i gadaria, letteralmente "mandriani". Infilatasi alla scuola locale di nascosto trascurando il lavoro nei campi che i suoi genitori si aspettavano da lei, Sampat Pal impara a faticosamente a leggere l'hindi, che non è nemmeno la sua lingua materna, dato che in casa sua si parla un dialetto locale. Data in sposa alla tenera età di dodici anni com'è usanza tra la gente umile da cui viene, Sampat dimostra fin da subito di che pasta è fatta. Non vergognandosi di controbattere a nessuno, neanche ai bramini che, approfittando di essere la più rispettata delle caste indù, si prendono gioco degli altri e scroccano ai gadaria utensili che poi non restituiscono mai, Sampat Pal comincia a farsi conoscere in paese come la più sfacciata tra le donne, la più ribelle e ostracizzata, ma anche la più sveglia. Il suo linguaggio sboccato mi ricorda la Phoolan Devi del film "Bandit Queen", personaggio con cui condivide alcuni particolari biografici e senza dubbio la determinazione. Mi avevano colpito, ad esempio, quei "motherfucker" e "sisterfucker" disseminati nel film e Sampat Pal riflette proprio su questa fissazione di usare le donne nelle imprecazioni, arrivando a criticare due fratelli che in modo molto sciocco e ridicolo insultano la loro stessa madre o sorella. 
Nonostante lo scarso livello d'istruzione, Sampat Pal capisce al volo come gira il mondo: la corruzione, i raggiri dei funzionari locali e dei piccoli commercianti, per non parlare del potere spropositato dei mariti sulle loro mogli. Così decide di fondare una scuola per insegnare alle donne a cucire e a leggere, trasmettendo allo stesso tempo le sue idee sull'emancipazione femminile. Non avrà la vita facile: più volte sarà allontanata dal suo villaggio per non essersi piegata ai soprusi dei più potenti e sarà perseguitata dai dada, i sicari a pagamento. Non risparmia parole aspre per nessuno, a partire dal Primo Ministro dell'Uttar Pradesh, Kumari Mayawati, che era stata la prima intoccabile a giungere a quella carica. Colpevole di essersi buttata alle spalle i suoi ideali e di essere venuta a patti con le caste superiori per accaparrarsi più voti, Sampat Pal nomina invece come modelli personaggi come Lakshmibai, la mitica regina di Jhansi che ha combattuto contro gli inglesi, o Chanakya, il consigliere dell'imperatore Chandragupta conosciuto in Occidente come "il Machiavelli indiano". La gulabi gang, ci spiega il libro, è nata solo dopo anni di lotte contro le ingiustizie e non ha niente a che vedere con le assistenti sociali. La fondatrice si aspetta infatti che le persone che vengono aiutate poi partecipino attivamente all'associazione, portando il sari rosa d'ordinanza e impegnandosi in prima persona a migliorare le cose.  
La veste grafica di questo libro non è delle migliori: a vederlo sugli scaffali della libreria si potrebbe pensare che sia uno dei soliti libri creati apposta per saziare la nostra sete di donne abusate e segregate in casa nei paesi del terzo mondo. "Con il Sari Rosa", però, non si sofferma a compatire le donne indiane, ma per esempio discute di come uscire da alcuni circoli viziosi, descrive l'organizzazione della vita sociale nei villaggi e denuncia la pigrizia della maggior parte delle donne che non hanno né la forza né il coraggio di farsi valere. 
Sampat Pal e la sua gulabi gang
Di certo la giornalista francese che ha messo per iscritto le parole di questa attivista indiana non è un Premio Nobel per la letteratura, ma ha avuto il buon senso di lasciar trasparire il linguaggio semplice e schietto della protagonista, elemento che rende questo libro un po' come la versione indiana di "Mi chiamo Rigoberta Menchù". Più azzeccato questo paragone, a mio parere (nonostante le polemiche che girano intorno al Premio Nobel per la Pace guatemalteco), che quello con la più famosa Arundhati Roy, donna diversissima per formazione, metodologia e approccio a Sampat Pal, che alle parole preferisce l'azione sul campo e che i soprusi li ha vissuti in prima persona. E anche perché le parole dure Sampat Pal non le risparmia neppure ai naxaliti, con cui Sampat Pal non vuole avere niente a che fare, sostenendo, in maniera forse un po' sommaria, che sono solo un'organizzazione spietata, che fa largo uso di armamenti, a differenza sua, che come arma ha solo un bastone.     


8 comments:

  1. Molto interessante. Ricordo la presentazione a Torino l'anno scorso.Donne energiche e in gamba!

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  2. Be' di coraggio ne ha da vendere. Ma rimango perplessa di fronte al rosa del sari, al lathi, alla rabbia che sembra trasparire dalla sua espressione. E d'altra parte immagino che abbia un sacco di buoni motivi per essere perennemente arrabbiata...
    Non so, credo che dopo aver urlato a scuarciagola la propria delusione o la propria rabbia si debba imparare a parlare.
    :-)

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  3. In realtà il rosa del sari è stato scelto semplicemente perché gli altri colori erano stati presi da altri partiti e anche perché è un colore che facilmente si trova nel guardaroba della maggior parte delle donne indiane. Il bastone, dice Sampat Pal, l'ha usato solo una volta come arma di difesa, per il resto è solo un simbolo che "fa il suo effetto". La gulabi gang usa proprio la parola, anzi la persuasione, come mezzo principale per ottenere giustizia! Queste donne, conoscendo la legge e non avendo paura di insistere con funzionari e capi villaggio, riescono spesso a dirimere alcune questioni di cui lo stato o gli enti locali non si curano per niente e questo secondo me è il suo risultato più grande. :-)

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  4. Happy reading Ayi Kwei Armah's classic. I read it recently and being Ghanaian myself it resounded quite strongly.

    -Sel

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  5. @Sonia: peccato non esserci stata a Torino quella volta!

    @Sel: Thanks. I'm really enjoying the book so far.

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  6. Interessante!
    ma non so perché non mi decida a leggerlo nonostante lo abbia lì da un po'...

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  7. @Silvia: anche nel mio caso il libro è rimasto lì per un po'...

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  8. ho appena finito di leggerlo e credetemi nn so perchè non venga ancora più pubblicizzato! credo che anche in Italia ci sia bisogno di una organizzazione cm questa! benchè la situazione sia enormemente diversa ci sono una infinità di donne che devono sopportare soprusi da parte di compagni e mariti.

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