Sunday, May 22, 2011

"The Beautyful Ones Are Not Yet Born" di Ayi Kwei Armah

Anno di prima pubblicazione: 1968
Genere: romanzo
Paese: Ghana

Per questo post vorrei scrivere di un libro (e un autore) che non è mai stato tradotto in italiano (a quanto mi risulta), nonostante si tratti di un classico della letteratura africana.
Nel primo capitolo di “The Beautyful Ones Are Not Yet Born” l’autore si sofferma a descrivere il corrimano di legno che fiancheggia le scale che conducono all’ufficio dove lavora il protagonista del libro, che rimane senza nome. Il legno è ormai vecchio, presenta molte crepe e per quante passate di lucido e cera si possano dare non ha certo un bell’aspetto. Nel processo d’invecchiamento di detto corrimano, osserva il narratore, sarà sempre il marcio, la putrefazione a vincere:

Il legno là sotto avrebbe vinto e lo avrebbe fatto in eterno. Di quello non c’era dubbio, solo il dolore della speranza perennemente destinata alla delusione. Era chiarissimo. Naturalmente era nella natura del legno marcire di vecchiaia. La cera, si supponeva, avrebbe raggiunto la parte marcia. Ma naturalmente alla fine era il marcio che senza sforzo avrebbe imprigionato il tutto nel suo abbraccio. (p.12, traduzione mia)

Ayi Kwei Armah usa la parola “rot”, che non a caso viene tradotta anche come “corruzione”. La lunga descrizione del corrimano, insozzato tra l’altro anche da mani sporche di escrementi e resti di cibo, una pagina e mezza di scrittura molto fitta, è anche metafora della società descritta dall’autore, ormai rovinata e destinata al peggio, praticamente inguaribile dopo un passato coloniale che ha lasciato corruzione e clientelismo come guida unica del paese. “The Beautyful Ones Are Not Yet Born”, il primo romanzo del più grande scrittore ghanese, descrive infatti una società dove per ottenere qualcosa nella vita – un’auto lussuosa, una bella casa, le migliori marche di superalcolici stranieri – bisogna per forza accettare una mazzetta, idolatrare l’occasionale politico al potere fino ad ottenere un incarico di prestigio o violare la legge ed ottenere, insieme al potere, i soldi necessari a guadagnarsi la stima di parenti ed amici.
Ayi Kwei Armah
Il protagonista del romanzo è un uomo che ha una vita del tutto normale: un lavoro noioso ma sicuro nel settore dei trasporti, una famiglia e una casa modesta. Per via della sua condotta integerrima – non accetta mazzette, ne viola la legge in alcun modo – è disprezzato dai colleghi e dalla sua famiglia, a partire dalla moglie Oyo e dalla suocera, che lo accusa di non avere i soldi necessari al sostentamento dei propri figli. La routine quotidiana viene interrotta dall’incontro con Koomson, un ex compagno di scuola che è diventato inspiegabilmente Ministro. Quest’ultimo promette di offrire all’uomo un ottimo affare, perciò è invitato a cena con la moglie Estelle.  Oyo fa di tutto per onorare l’ospite: compra il miglior cibo a disposizione, usa il servizio di piatti buono e si stira i capelli in mancanza di una parrucca, oggetto di culto dell’alta società ghanese. Qui Armah introduce dell’umorismo “per alleggerire gli aspetti più tetri” (come dice lo Yorkshire Post, in un blurb in quarta di copertina): la ricca e viziata moglie di Koomson, per esempio, abituata ai superalcolici d’importazione, sostiene che la birra non è adatta alla sua costituzione. Il padrone di casa, con un misto di impertinenza e cinismo, le chiede quindi che tipo di costituzione possegga. L’affare offerto da Koomson in fin dei conti non si rivela essere molto redditizio, ma svela i retroscena della classe dirigente del paese. Facendo buon viso a cattivo gioco, i politici sostengono un socialismo di facciata, per poi dedicarsi al capitalismo più sfrenato di nascosto. E’ una delle tante critiche che fa Armah alla società ghanese, uscita da pochi anni dall’esperienza coloniale.
Quello che redime il paese, tuttavia, sono persone come il protagonista, un uomo comune che rappresenta l’africano (o il ghanese) qualsiasi, onesto e lavoratore, tanto da rimanere senza nome. Siccome questo è un libro pieno di simboli e metafore, vorrei portare l’attenzione sul chichidodo, un uccello al quale Oyo paragona il marito. Il chichidodo “odia gli escrementi con tutta l’anima. Ma il chichidodo si nutre solo di vermi, e si sa che i vermi crescono meglio nei gabinetti” (p.45, traduzione mia). L’uomo, come il chichidodo, apprezza il denaro e il potere di Koomson, ma non il modo con cui l’ha ottenuto. Odia sporcarsi le mani, in altre parole. Sarà proprio questo elemento repellente, gli escrementi appunto, a fornire una via d’uscita, proprio letteralmente, ad una situazione uscita di mano, e il racconto si chiude con l’immagine di un singolo fiore che metaforicamente cresce dal letame, dove la scritta “The Beautyful Ones Are Not Yet Born”, dipinta dal conducente su un autobus, sta a significare una speranza insita nelle singole persone oneste che cresceranno dalla situazione impossibile del paese. L’errore nella grafia di “beautyful” forse indica che l’Africa, o perlomeno il Ghana, non viaggia più su canoni europei (di correttezza per esempio, ma anche di bellezza) e che è (o sarà) capace di creare qualcosa al di fuori della filosofia e della politica occidentale, in modo del tutto originale.
Lo scrittore Nigeriano Chinua Achebe
E’ proprio quest’ultima immagine, secondo me, la chiave di lettura del libro e l’elemento principale con cui sbugiardare la tesi che sostiene che Ayi Kwei Armah sia uno scrittore assolutamente pessimista e vincolato a canoni estetico-filosofici occidentali. Chinua Achebe, per esempio, ha scritto un saggio al vetriolo su questo argomento, sostenendo che Armah ha provato a scrivere un romanzo esistenzialista a là Camus ma ha fatto l’errore di ambientarlo in un posto specifico e in un momento storico altrettanto reale. Secondo me, mentre la scelta di lasciare il protagonista senza nome è discutibile, l’autore avrebbe potuto fare un passo ulteriore verso il realismo (offrendo maggiori dettagli sulla vita ghanese o sulla situazione politica). Non amo particolarmente i romanzi ambientati in un “non meglio specificato paese Africano”, perché secondo me la validità di un’opera letteraria per tutta la condizione postcoloniale (o anche per l’intera umanità) si può creare con mezzi molto meno insidiosi, come appunto le metafore o i personaggi memorabili (in questo romanzo “The Teacher”, una specie di filosofo di vita, è uno di questi).
Nel complesso Ayi Kwei Armah scrive un romanzo forte, ben strutturato e giustamente annoverato tra i classici della letteratura africana. A capitoli in cui la narrazione si fa avvincente affianca parti più riflessive, dal sapore filosofico, dove la storia arranca un po’, ma poi il racconto riprende, più forte e prorompente di prima. In meno di 200 pagine, Ayi Kwei Armah da vita ad un libro in cui non si vergogna di denunciare quello che non va nel suo paese. Ad un’atmosfera cupa, opprimente, dove regna un costante sentore di sconfitta, di perdita e di pessimismo degna di un Naipaul o di “Cuore di Tenebra” per fare gli esempi più ovvi, Armah affianca una prosa energica, un umorismo fuori dal comune ed un germoglio finale di speranza.

Sull’autore: Ayi Kwei Armah è nato a Takoradi, in Ghana, nel 1939. E’ stato educato in Ghana e in America. Ha lavorato come traduttore ad Alfieri e come sceneggiatore per la televisione ghanese, poi come insegnante d’inglese e come traduttore-editore per Jeune Afrique in Francia. E’ interessato a creare un organismo panafricano che abbracci le diverse culture e lingue del continente (in questo senso ha incoraggiato lo sviluppo del Kiswahili come lingua del continente). Ha scritto diversi romanzi, tra i quali “Two Thousand Seasons” (1973) e “The Healers” (1979).

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