Monday, May 24, 2010

MOSAICO INDIA

Alka Saraogi, Tishani Doshi e Antonio Franchini conversano con Anna Nadotti nell'ambito della manifestazione Incroci di Civiltà
Auditorium Santa Margherita, Venezia, 20 maggio 2010

L’incontro parte dalla consapevolezza che l’India è come un mosaico composto da tantissime tessere, tutte molto diverse una dall’altra, ma che se guardate da lontano compongono un’opera d’arte chiamata India. D’altronde è lo stesso concetto espresso da Sudhir Kakar quando gli viene chiesto di presentare il suo libro “Gli Indiani”, solo che la sua metafora era un bosco, dove non bisogna guardare tanto gli alberi ma allontanarsi per riuscire ad averne la visione d’insieme (come in un quadro di Seurat aggiungerei io). Ecco quindi che la moderatrice dell’incontro, Anna Nadotti, traduttrice di innumerevoli romanzi indiani scritti in inglese, cita Roberto Rossellini, che visitò l’India e ne fece un celeberrimo documentario: “L’India è uno stomaco enorme con un’enorme capacità di digerire”, perché ha digerito tantissime religioni, culture e filosofie.

La conversazione avviene tra tre scrittori molto diversi tra loro, con un filo conduttore che li unisce, quello del viaggio. Alka Saraogi, nata a Calcutta nel 1960, scrive in hindi. Si presenta con una bellissima sari fucsia e un bindi sulla fronte, nonché un sorriso molto dolce. Due dei suoi libri sono stati tradotti in italiano: “La Storia di Ruby Di” (Neri Pozza, 2004) e “Bypass al cuore di Calcutta” (Neri Pozza, 2007). Proprio da quest’ultimo sono state tratte le letture proposte durante l’incontro. Il romanzo è ambientato a Calcutta, dove Kishor Babu, dopo un’operazione di bypass al cuore, inizia a girovagare per le viuzze della città a piedi, frequentando quartieri che prima non si sarebbe neanche sognato di visitare, dove “decine di uomini si accucciano con la faccia contro un muro per urinare o sono intenti a mangiare riso-uova, riso-pesce, riso-legumi seduti in fila su una panca, senza girare mai il viso a destra o a sinistra, per parlarsi o guardarsi?”. Quello di Kishor Babu, quindi, è un viaggio fatto senza prendere aerei, solo con i propri piedi, all’interno della propria città. Egli, appartenente alla comunità Marvari composta da ricchi mercanti e uomini d’affari, inizia ad aggirarsi nella zona nord di Calutta alla ricerca delle radici familiari, che affondano appunto nella parte “indigena” e più povera della città. Con molta ironia e linguaggio tagliente, Alka Saraogi affronta i viaggi di una nazione, di una società, attraverso la topografia di una città.

Tishani Doshi, classe 1975, è nata a Madras da padre indiano e madre gallese. Prima di tutto poetessa, ma anche ballerina (ha lavorato con la famosa coreografa indiana Chandralekha) è ora autrice di un romanzo, “Il Piacere Non Può Aspettare (Feltrinelli, 2010). E’ bellissima, vestita in un tailleur blu che fa da controparte alla sari di Alka Saraogi. Le due anime dell’India in bilico tra tradizione ed innovazione (ma che convivono, Tishani confessa infatti di mettere anche la sari). Esse appartengono a due diverse generazioni e scrivono anche in lingue diverse: Tishani infatti ha scelto di usare la lingua inglese per esprimersi. “Il Piacere Non Può Aspettare” indaga un po’ sulla storia familiare della scrittrice stessa, perché i protagonisti sono Babo, un indiano che vola a Londra per lavoro e s’innamora di Sîan, una ragazza gallese. I due creano così una famiglia multietnica, ma stranamente decidono di farlo in India e non in Inghilterra. Troppo facile forse etichettarlo come il “White Teeth” indiano e ancora più facile insinuare che Tishani Doshi, perché bella non sappia scrivere poesie (come ha fatto recentemente “Il Giornale” in un articolo orrendo che ha anche confuso Anuradha Roy con Arundhati). Ad ogni modo, il romanzo è il tentativo di raccontare anche i viaggi dall’occidente all’India, oltre che quelli opposti dall’India all’occidente, ormai abusati in letteratura (un paragone che mi esce spontaneo è con “Notte e Nebbia a Bombay” della Desai dove c’è lo stesso viaggio “inverso”). Gli odori, i profumi e i colori descritti da Tishani Doshi, quindi, non sono solo quelli dell’India, descritti milioni di volte, ma anche quelli del Galles. D’altronde anche l’Europa ha un odore (in un post di mille anni fa scrissi che per me l’Inghilterra odora di una stanza non arieggiata, cibo fritto e curry, o una cosa del genere). Quello di Tishani è un viaggio “affettuoso” nella storia dei suoi genitori, facendo la spola tra India e Galles, perché una persona forse può avere “case multiple”.

Il terzo scrittore presente, Antonio Franchini, ha recentemente pubblicato “Signore delle Lacrime” (Marsilio, 2010), un romanzo autobiografico riguardante un suo viaggio in India, che allaccia impressioni sul subcontinente a ricordi di vita italiana (partenopea in particolare). L’autore ci fa presente un parallelismo inquietante tra i cosiddetti cantanti neo-melodici napoletani e quelli di Bollywood e tra il caos, il rumore e l’odore dell’India e gli stessi elementi nella realtà cittadina napoletana. La mediatrice chiede quindi alle due scrittrici indiane se anche per loro ci può essere un collegamento, un feeling tra Italia ed India ed entrambe rispondono che sì. Ma i collegamenti fra civiltà si possono fare in tutti i casi, perché in fondo siamo tutti esseri umani con grossomodo le stesse esigenze. L’importante, dice Tishani Doshi, è non pensare che lo scrittore possa diventare portavoce di tutta una nazione, nelle sue infinite luci ed ombre. In altre parole, come può uno scrittore descrivere tutte le tessere del mosaico? Al massimo può dipingerne una, quella che meglio conosce, che sente più sua.

6 comments:

  1. portatrici del loro paese, magari anche senza il fastidio di poterlo essere

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  2. ...e poi, ogni tessera del mosaico ogni autore la vede a seconda del suo punto di vista, delle sue esperienze.
    Il bello della narrativa è proprio avere tanti occhi, tanti punti di vista a seconda di chi scrive!

    ciao ciao

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  3. Sempre a proposito di articoli orrendi del Giornale, guardate un po' in che cosa mi sono imbattuta oggi per puro caso:
    http://www.ilgiornale.it/cultura/una_processione_zombie_convinti_essere_classici/16-05-2010/articolo-id=445772-page=0-comments=1

    Evidentemente l'India a quelli lì proprio gli sta "sui coglioni", come dicono loro...
    Al di là del contenuto e del cattivo gusto, su cui stenderei un velo pietoso, qui ancora peggio in quanto a confusione e ignoranza: oltre ad avere serie difficoltà con lo spelling dei nomi degli scrittori, pensano che la Sahitya Akademi sia uno scrittore!!!!!

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  4. D'altronde Il Giornale non fa informazione o giornalismo, ma solo provocazioni. Comunque è vergognoso! Se non volete andare al Salone del Libro statevene a casa, chi vi vuole, gaustafeste che non siete altri!!!

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