Qualche settimana fa, per la precisione il 17 ottobre, è uscita una puntata di "Che libro fa..." particolarmente gustosa, perché riguardava un paese di cui mi sono occupata qualche anno fa per la mia tesi, cioè la Nuova Zelanda. Qui le parti più interessanti della meravigliosa rubrica di Giovanna Zucconi:
"[...] È l’occasione per fare un giretto nei giornali di quell’altra Italia remota e capovolta. Sollievo: si parla d’altro, non c’è traccia delle nostre ossessioni collettive e neppure della vigente (qui) battaglia contro il «culturame». Si parla di libri, scrittori, e anche di cinema e delle arti, con toni normali, né spocchiosi né manganellanti, e con rispetto condiviso. È considerato naturale, laggiù, che esistano libri popolari e altri che popolari non sono: e che quelli che amano Dan Brown e quelli che amano Proust possono convivere pacificamente (talvolta nella stessa persona).
Agli antipodi, agli antipodi! La polemica più accesa, beati loro, sembra essere su questo tema: perché i Kiwi (nomignolo nazionale) leggono così poco la propria letteratura? Se esista o no una letteratura neozelandese non è il legittimo dubbio di chi come noi saprebbe citare sì e no Katherine Mansfield e Jane Campion: è la questione centrale, in un piccolo Paese ai margini dell’imperium angloamericano. Guardando alle classifiche: Diana Gabaldon è americana, Dan Brown pure, e fra Marian Keyes, Stieg Larsson, Ian Rankin, Clive Cussler eccetera, non ce n’è uno nato fra Wellington e Auckland.
Guardando invece ai dati (anche qui, invidia antipodea): il 44% degli adulti dichiara di avere acquistato almeno un libro nelle ultime 4 settimane, e il 39% è andato in biblioteca. Soltanto il 5% della fiction venduta è pubblicata in Nuova Zelanda, contro il 30% della saggistica e il 12% dei libri per bambini. Ancora più interessante il confronto con gli altri consumi culturali: il 34% dei contenuti televisivi nelle sei reti principali è nazionale, e anche il 19% della musica radiotrasmessa. Che cosa significa? Scrittori, editori, giornalisti, autori di alcune delle trasmissioni di libri (ce ne sono parecchie, nell’Italia alla rovescia), ne discutono in profondità. Il dibattito ci appassiona. Se non altro perché per qualche minuto ci distrae dal nostro, di dibattito."
La Stampa, 17 ottobre 2009
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