Monday, September 12, 2011

Festivaletteratura 2011 (1/3)

Al Festivaletteratura di Mantova gli scrittori invitati erano un centinaio almeno e c'è sempre qualcuno che muori dalla voglia di sentire/vedere, ma che non riesci ad incastrare, nemmeno tagliando sulle pause caffé offerte da Illy o rinunciando ad una passeggiatina sul lungolago. Per me quest'anno questi scrittori sono stati rispettivamente Yehoshua Kenaz (scrittore israeliano sopraffino che ha influenzato anche Amos Oz) e Tahar Lamri (italiano, ma di origine algerina, che ha parlato della primavera araba). Ma ho avuto l'occasione di andare agli incontri con moltissimi altri scrittori; magari non nomi eclatanti, ma comunque sempre interessanti. Di quasi tutti gli scrittori non ho ancora letto niente, quindi ho preso questi incontri un po' come una presentazione ad ognuno di loro. 

Mihai Mircea Butcovan. Questo è stato il mio primo incontro, sotto il sole cocente della Tenda Sordello e a due passi da Palazzo Ducale, un tempo residenza dei Gonzaga. Butcovan, romeno di nascita ma italiano d'adozione, sceglie di parlare dello scarto tra padri immigrati, che si sentono ancora stranieri in Italia, e figli che sarebbero contentissimi di diventare italiani per la legge, visto che lo sono già culturalmente.Il momento più divertente di questa mezz'oretta passata allegramente è stato la lettura della lettera in dialetto di un milanese un po' particolare, indirizzata a quel leghista che aveva proposto di mettere dei vagoni separati per gli extracomunitari nella metropolitana di Milano. Un grosso applauso nasce spontaneamente quando viene detto che chi è nato in Italia dovrebbe avere la cittadinanza italiana. [Mi sembra di essere negli anni '50 disse tempo fa Zadie Smith, a proposito delle politiche razziali in Italia]   

William Dalrymple. Figlio di un baronetto cugino di Virginia Woolf, William Dalrymple è uno storico ed uno scrittore di viaggi piuttosto famoso, nonché il co-fondatore del Jaipur Literature Festival, il cugino indiano del Festivaletteratura di Mantova. Questo incontro, condotto dal giornalista inglese Tim Parks, verte sull'ultimo libro dell'autore, intitolato "Nove Vite". Tra monache jain che si strappano i capelli e fanno voto di non dormire mai sotto lo stesso tetto, vagabondando per tutta l'India, e santoni che digiunano seduti sotto un albero fondendosi armoniosamente con la vita quotidiana degli indiani che si sono ormai abituati, l'India, sostiene William Dalrymple, è un paese dove la spiritualità e la religione non è mai passata in secondo piano. Le innovazioni tecnologiche e il progresso, secondo l'autore, convivono con l'intimità provata dagli indiani con il divino. La grande diversità religiosa fa sì che sia pressoché impossibile conoscere tutti i culti presenti in India, che più che un paese dev'essere considerato un vero e proprio continente, ci ricorda lo scrittore.

Helen Humphreys. Autrice sia di poesia che di una manciata di romanzi, il festival ha scelto di incontrare Helen Humphreys al conservatorio Campiani, con i violoncelli che suonano in sottofondo. Timida e quasi imbarazzata per l'attenzione che le viene riservata, Helen Humphreys sembra non aver parole per descrivere il processo della scrittura, il perché e il percome dei temi dei suoi romanzi, le cui trame intricate ed intelligenti attirano l'attenzione. "Il Giardino Perduto", per esempio, è ambientato a Londra durante la Seconda Guerra Mondiale, dove le vite di tre persone si incrociano in una casa dove c'è un giardino segreto che non appare nelle planimetrie,  un po' come nel famoso romanzo di Frances Hodgson Burnett. Ancora più intrigante è "The Reinvention of Love", romanzo storico che narra la storia d'amore tra Adèle, la moglie di Victor Hugo a cui è dedicato anche il film "Adele H." di François Truffaut, e il critico Sainte-Beuve. Descritti da tutti come romanzi a dir poco poetici, dove la natura gioca un ruolo importante, mi sembrano degni di attenzione.    

Téa Obreht. In Inghilterra il suo libro, "L'Amante della Tigre", era in vetrina ovunque, un po' perché ha vinto l'Orange Prize for Fiction e, a 25 anni, ne è la più giovane recipient, e un po' perché è stata inserita dal New Yorker nei "20 under 40" (cioè i migliori giovani scrittori americani sotto i 40 anni). La intervista Serena Dandini, che si comporta un po' come fosse sul suo divano rosso, battute comprese. Téa avrà pensato: ma chi è questa matta?! E viceversa, perché Téa Obreht sembra un po' stramba, con la sua paura di mangiare raw chicken, il pollo crudo, e con le sue cacce ai vampiri (un contributo della scrittrice ad Harper's Magazine, che l'ha mandata per i villaggi serbi e croati a capire cosa c'è sotto questa moda di succhiare sangue che ha coinvolto letteratura, cinema e tv americana per ragazzi). Di origine serba, Téa Obreht ha scritto un romanzo molto vicino al realismo magico di Garcia Marquez, trapiantandolo tuttavia nei balcani, e di conseguenza dando vita ad un circo di stranezze da far invidia a Kusturica. Se leggendone un paio di pagine in libreria non mi aveva particolarmente incantato, pare che abbia invece fatto sognare molti spettatori in sala. Che tenerezza pensare che questo era il suo primo incontro in traduzione! L'impressione è di una scrittrice di talento, con tanta tanta fantasia (che sia cresciuta a pane e Gabo ça va sans dire), che però esce da un corso di scrittura creativa, questo mondo misterioso che sta facendo uscire dalle università americane ed inglesi decine e decine di scrittori, ma che qualcuno (*cough*cough*V.S. Naipaul*cough) sostiene vengano fuori tutti uguali, come se fossero fatti con lo stampino. Mah, ci aggiorniamo quando avrò letto qualcosa della Téa (ormai la sento un po' come un'amica, vista la vicinanza anagrafica)! Nel frattempo, have a snippet of Téa Obreht here...

Yirmi Pinkus. La mia alternativa all'incontro con Kenaz, che non sono riuscita a prenotare, è quest'altro scrittore israeliano, anch'egli semi-sconosciuto in Italia. Introdotto da Moni Ovadia (un jack of all trades del festival visto che l'ho incrociato per ben tre volte), Yirmi Pinkus parla in quella strana ed indescrivibile lingua che è l'ebraico moderno, ma il suo romanzo, "Il Folle Cabaret del Professor Fabrikant", ha forte legami con la lingua yiddish, un tempo parlata da moltissimi ebrei in Europa ed ora presente in Israele attraverso gli artisti che decidono di ridare lustro al teatro yiddish. Attraverso un numero ragguardevole di storielle, i due ci accompagnano a conoscere questo tipo particolare di teatro in cui gli spettatori partecipano attivamente alle rappresentazioni, per esempio urlando "Salute!" quando gli attori stanno per bere un bicchiere di vino sul palco, e in cui la musica e le canzoni giocano una parte centrale. Non c'è quindi da stupirsi, racconta Ovadia, che il teatro yiddish abbia influenzato da un lato il teatro di Bertold Brecht e dall'altro il musical americano. Si tratta di un libro che resuscita un mondo che sta per andare perduto, dato che questo tipo di teatro-cabaret descritto da Pinkus è un po' deriso dagli israeliani in quanto retaggio di una cultura che appartiene al passato. Forse perché è difficilmente integrabile all'immagine moderna e nuova (nel senso di culturalmente nuova), che Israele vuole dare di sé. Alla fine mi sembra possa essere un libro divertente e arguto, con una tematica che si scosta dalle solite trite e ritrite. Un romanzo per parlare del teatro, questa la dovevo ancora sentire.       


2 comments:

  1. ciao Stefania,
    quest'anno purtroppo, per questioni di lavoro, ho dovuto saltare il festival, e mi dispiace da matti.
    Mi incuriosisce molto la tua descrizione di Dalrymple, non ho mai letto nulla di suo e questo libro nuovo che ha presentato potrebbe essere un buon inizio, che dici?
    Pensa, Tahar Lamri lo conosco bene, un po' di anni fa ho organizzato una piccola rassegna di scrittori della migrazione, e c'era anche lui. E' una persona molto dolce e un bravissimo narratore.
    Bacioni!

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  2. Sì, penso che possa essere un inizio interessante, specialmente se ti interessa la spiritualità.

    So bene che Tahar Lamri è un buon narratore, ed oratore, perché l'ho sentito ad una conferenza a Londra ormai qualche anno fa. Peccato non averlo risentito a Mantova...

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