Thursday, November 17, 2011

"Middlemarch" di George Eliot

Come accade a Dorothea Brooke, anch'io mi sono dovuta ricredere sulla natura di Casaubon. All'inizio del romanzo mi sembrava un uomo noioso ma tutto sommato innocuo. Dev'essere invece il personaggio più fastidioso, odioso e lugubre della letteratura inglese. Io lo metto in cima alla mia lista personale degli antipatici insieme ad Uriah Heep, quella canaglia che in “David Copperfield” mette sempre il bastone tra le ruote al protagonista. Mr. Casaubon è un uomo di mezza età che dedica anima e corpo allo studio e alla redazione di un testo – una “Chiave per Tutte le Mitologie” – che solo lui ritiene sarà fondamentale ed importante, tanto che nulla lo deve distrarre. Ne rimane affascinata la giovane Dorothea Brooke, che sceglie di sposarlo ritenendo che le offrirà gli stimoli intellettuali che sente di avere bisogno, sperando al contempo di contribuire alla redazione dell'opera di teologia. Ahimé, sarà solo una chimera, perché fin dalla luna di miele romana, durante la quale Casaubon si rinchiude in biblioteca, Dorothea si annoia e a ravvivarle un po' le giornate è solo il cugino di lui, il giovane e squattrinato Will Ladislaw, per cui Casaubon prova una forte antipatia e una fondata gelosia. 

Come tutto ciò andrà a finire lo possiamo dedurre facilmente, ma è soltanto perché questa è la trama “superficiale” del romanzo; è una specie di pretesto per parlare di molte altre cose. L'autrice, infatti, ci presenta il romanzo come uno studio della società nella campagna inglese negli agli anni venti e trenta dell'ottocento e lo fa attraverso una decina di personaggi e ad ognuno dedica un numero più o meno uguale di pagine (facendoci pian piano abbandonare l'idea che Dorothea sia la protagonista del libro). C'è, per esempio, Tertium Lydgate, proveniente da una nobile e ricca famiglia ma che ha avuto la sfortuna di scegliere la modesta professione del medico di campagna. La bellissima moglie Rosamond, borghese abituata al lusso e ai passatempi frivoli che Lydgate ha sposato nella convinzione che un uomo di scienza debba avere una moglie piacevole ma non particolarmente intelligente, non migliora la situazione disastrata delle finanze di Lydgate. Poi ci viene presentato il banchiere Bulstrode, zio di Rosamond, che nonostante si dedichi molto alla beneficenza non può annullare una macchia indelebile nel suo passato. A dimostrare come tutto nella cittadina di Middlemarch giri intorno ai soldi c'è anche lo sprovveduto Fred Vincy, il quale sperpera denaro con il gioco d'azzardo e contrae debiti, ma nonostante tutto spera di ottenere la mano dell'amica d'infanzia Mary Garth, che ha sempre amato.

C'è un po' di Jane Austen in tutto questo, ma anche molto di più. Come scrisse Virginia Woolf in un famoso saggio, non ci troviamo di fronte ad un romanzo d'amore o d'avventura ma, come era già successo in Russia, ad un testo dallo sguardo il più amplio possibile. Dalla posizione della donna all'interno della famiglia, all'ipocrisia dei politici ottocenteschi, fino ai miglioramenti nella pratica medica e all'ignoranza dei medici di campagna, George Eliot tratta moltissimi temi, e nessuno con superficialità.

All'interno di tutto ciò risulta in particolare evidenza il tema della disillusione, concepita come l'abbandono di uno stato mentale dominato dall'idealismo, dall'egoismo o dalla pigrizia, e i cambiamenti che giungono con la maturità e con una maggiore consapevolezza del mondo. Prima o poi tutti i personaggi del romanzo abbandonano un punto di vista miope o parziale. “Marriage is so unlike everything else. There is something even awful in the nearness it brings” (p.759) dice Dorothea verso la fine della storia, riflettendo sul modo in cui la vicinanza che inevitabilmente accompagna il matrimonio aveva paradossalmente messo un muro tra lei e Casaubon, impedendo una comunicazione chiara ed aperta. Dorothea abbandona l'idea di dover essere il lume di candela dell'anziano marito o l'unica fonte di luce per Middlemarch per via di quegli atti di beneficenza pensati per essere l'unica sua consolazione e felicità nella vita. Allo stesso modo, Lydgate abbandona le idee di gloria giovanili e invece di scrivere un trattato di medicina rivoluzionario, come avrebbe voluto in partenza, finisce per esercitare la professione in un luogo di villeggiatura, guadagnando quei soldi che gli servono per mantenere un tenore di vita adeguato. Il suo trattato di medicina, manco a farlo apposta, verterà sulla gotta, malattia dei ricchi. Persino Fred vedrà ridimensionarsi il suo sogno di diventare un proprietario terriero, ma in compenso ci guadagnerà l'amore di Mary. Ognuno, in altre parole, raggiunge non la felicità in senso stretto, ma una felicità relativa che in fin dei conti risulta essere quella più vicina alla realtà delle nostre vite.

Middlemarch” è senza dubbio quello che si chiama un romanzo fiume. “There is too much of it” diceva Henry James, ed aveva forse ragione. Non siamo più abituati alla lunghezza e alla prolissità degli scrittori vittoriani. Tuttavia, dopo "Middlemarch" (che risale al 1870) abbiamo scoperto che il protagonista di un romanzo può non essere un eroe perfetto e virtuoso, ma che anzi ci possono essere più di un protagonista e che i romanzi non finiscono tutti con un “e vissero tutti felici e contenti” d'ordinanza. Consigliato a chi non si spaventa di fronte all'abbondanza di vita brulicante di Charles Dickens. Immaginatevelo solo in gonnella che scriveva con uno pseudonimo maschile. Il personaggio della prima moglie di David Copperfield che adorava il suo cagnolino e non era capace di tenere in ordine i conti, per dirne una, c'è tutto.